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Warfarin: solamente un farmaco anticoagulante?

Warfarin: solamente un farmaco anticoagulante?
V. Toschi
Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale e Centro Emostasi e Trombosi
AO Ospedale San Carlo Borromeo, Milano

Il warfarin è da anni largamente utilizzato nel trattamento di una serie di condizioni trombotiche sia del distretto venoso che di quello arterioso, nonché nella profilassi degli eventi cardioembolici nei pazienti con fibrillazione atriale e in quelli portatori di protesi valvolari cardiache. La sua azione anticoagulante è legata alla inibizione della trasformazione nella forma biologicamente attiva di una serie di proteine della cascata coagulativa ed in particolare dei fattori II, VII, IX e X, per questo chiamati vitamina K-dipendenti. Queste proteine, prodotte a livello epatico, per possedere la loro specifica attività procoagulante necessitano di un processo di γ-carbossilazione dei residui di acido glutammico presenti nella catena polipeptidica. Tale processo si verifica in presenza di un cofattore indispensabile rappresentato dalla vitamina K. Il warfarin, antagonizzando l’effetto biochimico della vitamina K, inibisce la γ-carbossilazione dei residui di acido glutammico dei fattori citati inibendone l’attività e, per questa ragione, diventando il farmaco anticoagulante di più largo impiego clinico1. Recenti studi sperimentali hanno tuttavia dimostrato che, oltre ai fattori coinvolti nella cascata coagulativa, altre proteine dotate di molteplici attività biologiche necessitano di un processo di γ-carbossilazione mediato dalla vitamina K. Tra queste notevole attenzione ha ricevuto, negli anni recenti, la proteina nota come Growth Arrest Specific gene 6 Protein (Gas-6). Tale sostanza viene prodotta a livello delle cellule muscolari lisce dei vasi ove ne stimola la motilità, ne favorisce la crescita indotta dalla trombina, e ne inibisce i processi di apoptosi indotti da TNF o da β-amiloide. Grazie a queste proprietà Gas-6 gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell’integrità dei vasi sanguigni, contribuendo alla difesa del sistema vascolare da agenti lesivi e alla sua capacità di auto-riparazione. Le funzioni biologiche di Gas-6 nell’ambito del sistema vascolare sono pertanto molteplici e necessitano di attivazione della molecola attraverso un processo di γ-carbossilazione vitamina K-dipendente. Per questo motivo la inibizione di questo processo biochimico da parte dei farmaci dicumarolici è stato messo in relazione a fenomeni di calcificazione della parete vascolare che sarebbero conseguenza di un’aumentata tendenza all’apoptosi delle cellule vascolari. Studi in vitro e nell’animale da esperimento avrebbero infatti dimostrato che il trattamento con warfarin sarebbe in grado, inibendo l’attività di Gas-6, di stimolare i processi di calcificazione della parete dei vasi arteriosi, e che questo fenomeno sarebbe antagonizzato dal trattamento con statine che sono in grado di indurre il ripristino dell’attività della proteina2. Più in particolare l’effetto anti-apoptotico di Gas-6 nei riguardi delle cellule muscolari lisce e delle cellule endoteliali della parete vascolare si realizzerebbe grazie al legame della proteina ad uno specifico recettore noto come Ax1. Tale legame sarebbe, a sua volta, in grado di stimolare la proteina anti-apoptotica Bcl-2 e, contemporaneamente, di inibire la proteina pro-apoptotica caspasi conferendo alle cellule della parete vascolare una condizione di protezione nei confronti dell’apoptosi e, conseguentemente, di relativa longevità3,4. Studi in vitro hanno infine dimostrato che Gas-6 sarebbe capace di stimolare i processi di chemiotassi e la motilità delle cellule muscolari lisce contribuendo alla difesa del vaso da stimoli lesivi ed in particolare di quelli pro-aterosclerotici. Studi di piccole dimensioni condotti nell’uomo hanno infine dimostrato che l’uso di warfarin sarebbe associato ad un incremento dei processi di calcificazione a livello dei vasi coronarici5 e dei lembi valvolari cardiaci6 suggerendo il potenziale ruolo fisiopatologico di inibizione dell’attività di Gas-6 in questi pazienti. Il ruolo di Gas-6 nell’ambito della biologia vascolare è ulteriormente complicato dall’osservazione che la proteina è contenuta all’interno delle piastrine e viene liberata da queste cellule in seguito alla loro attivazione, inducendo un potenziamento dei processi di degranulazione e aggregazione e svolgendo conseguentemente un’azione in senso protrombotico e proaterosclerotico. E’ interessante a questo proposito riportare uno studio preliminare nell’uomo in cui polimorfismi del gene di Gas-6 che si accompagnano ad un aumento dell’attività della proteina, sono stati osservati essere associati ad un aumentato rischio di stroke7. Il ruolo di Gas-6 nei processi emostatici è controverso. E’ infatti interessante rilevare che topi knockout Gas-6-/- risultano protetti dagli stimoli protrombotici, mentre, al contrario, nell’uomo il trattamento estroprogestinico, noto per essere associato ad una condizione trombofilica, sarebbe associato ad una riduzione dei livelli plasmatici della proteina8. Studi sperimentali hanno infine dimostrato che Gas-6, nell’ambito della fisiopatologia del vaso, è anche in grado di modulare i processi flogistici. Anche se esistono osservazioni contrastanti riguardo l’effetto pro- o antinfiammatorio della proteina, è a questo proposito particolarmente interessante rilevare che animali da esperimento resi geneticamente incapaci di produrre Gas-6 (Gas-6-/-), presentano una ridotta interazione tra cellule endoteliali e leucociti in vivo dopo stimolazione endoteliale, suggerendo un potenziale ruolo proinfiammatorio della proteina e, conseguentemente, un possibile potenziamento dell’effetto protrombotico a livello della superficie luminale del vaso9.

La presente revisione, lungi dal voler fornire un quadro estensivo di tutte le possibili implicazioni biologiche, fisiopatologiche e biochimiche di Gas-6, induce tuttavia una riflessione sul concetto che un farmaco, tradizionalmente noto e largamente impiegato come potente agente anticoagulante quale il warfarin, potrebbe potenzialmente possedere effetti apparentemente aggiuntivi di modulazione della biologia del vaso e dei meccanismi di flogosi che si associano ai fenomeni trombotici sia venosi che arteriosi.

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