Una nitida parzialità
20 Novembre 2014Cari ascoltatori
25 Novembre 2014Io non so (faccio molta fatica a capirlo) quanto leggano, oggi, i ragazzini di dieci o dodici anni. Io vedo che leggono assai poco (e male) i liceali e mi immagino che non sia un incidente che capita dopo i quattordici i anni, ma che sia una strada lunga. O meglio, o forse, una non-strada che hanno imboccato molto tempo prima. Io non sono nemmeno tra coloro che crede che un ragazzo leggerà se 1.la famiglia 2.la scuola 3.la zia 4.il parroco 5.il professore 5bis.la professoressa 6.l’allenatore di calcio lo ha obbligato a leggere chissà cosa; io, molto più modestamente, credo che se uno non ama leggere non c’è niente da fare: non leggerà; e che se invece amerà leggere, non c’è niente da fare: leggerà (come sa perfettamente mia madre, che cercò tante volte – e invano – di farmi diventare un giocatore di calcio, o un nuotatore…)
Però, anche se non lo so, mi pare interessante notare che proprio in questi giorni si è parlato molto di due libri adatti proprio ai giovanissimi. Il primo proprio esplicitamente a loro dedicato, giacché è pubblicato nella collana “Feltrinelli Kids” ed è presentato, in questa bella recensione di Mauro Reali, così:
Ho molto invidiato il viaggio in Grecia che i quattro nipoti di Giuseppe Zanetto hanno fatto sotto la guida, dotta e affettuosa, di un nonno professore di Letteratura Greca all’Università degli Studi di Milano: un viaggio alla ricerca del mito (verità profonda, come sostiene il nonno, o incredibile bugia, come sostiene lo scettico nipote Giorgio?), attraverso la visita dei maggiori siti archeologici della Grecità: Atene, Delfi, Olimpia, Itaca e l’Argolide […] la cui lettura consiglio vivamente: ai più piccoli (direi dai 10 anni in su…), ai loro genitori e nonni, ma anche a tutti quelli per i quali la Grecia è la terra d’elezione, dove – almeno una volta all’anno – tornare un po’ bambini è lecito e necessario.
Il secondo libro per i ragazzi giovani che mi sento di proporre (soltanto perché lo lessi io da bambino, e me ne innamorai: non è una buona ragione, lo so) è in realtà un libro vecchio, quello che potremmo definire un “classico”, se la parola è ancora accettabile. Si tratta dei Tre moschettieri di Dumas, della cui “innocente crudeltà” (e di una cui nuova e interessante traduzione) si parla in questa recensione di Paolo Di Stefano:
Ora che abbiamo, dopo la recente riproposta del Conte di Montecristo (Einaudi), un’edizione (Donzelli) con una nuova traduzione, molto piana, di Camilla Diez, che ha il pregio di non porre ostacoli alla corsa del racconto (il che per Dumas è dire tutto) e con un piccolo dizionario dei personaggi, compresi quelli storici, possiamo facilmente verificarlo, quante uccisioni, forse gratuite in assoluto ma necessarie alla narrazione, si susseguono in questo romanzo che riesce sempre a stare in equilibrio tra cupore e divertimento. Sì, perché fu Giorgio Manganelli a definire I tre moschettieri un romanzo del divertimento, come neppure Pinocchio, che invece per lo stesso Manganelli era tutt’altro che divertimento puro quale poteva sembrare.
E infine, se mi si permette questo piccolo passo falso, provai anch’io, una volta, tanto tempo fa, sul web, a proporre, tra un aneddoto scolastico e l’altro, un libro per i ragazzi, uno di quelli che nessuno legge più, forse perché sono stati davvero superati dalle mode del tempo, e dai giochi elettronici. Lo trovate qui, se ancora avete pazienza.
[Lo so, non siete ragazzi, lo so… Però, avrete dei figli, o dei nipoti, no? Ecco, il post era per loro, stamattina. Ma se invece siete a casa e non avete niente di bello da leggere, c’è uno splendido post che vi posso consigliare. È dedicato al caffè e alla cultura, e racconta una piccola ma eruditissima storia che comincia così:
Gli Europei incominciarono a conoscere il caffè e il suo consumo attraverso i resoconti dei viaggiatori negli imperi ottomano e persiano, che riferivano di come gli uomini facessero uso di un succo inebriante “di colore nero e ottenuto dall’infusione di bacche macinate di una pianta che fiorisce in Arabia”. I locali bevevano questo infuso “durante tutto il giorno e fino a notte fonda, senza alcun apparente bisogno di dormire; con il corpo e la mente continuamente vigili, gli uomini chiacchieravano e discutevano, trovano nel nero liquido bollente un curioso stimolo assai diverso da quello prodotto dal succo fermentato dell’uva”. Intorno al XVI sec. incominciarono ad aprire nelle principali città del vicino oriente dei locali destinato al consumo della bevanda, che presto divennero luogo di ritrovo, di gioco degli scacchi, di affari e occasione per ascoltare racconti e poesie.
E quando proseguirete forse vi verrà la voglia di ricordarvi che fu l’illuminismo italiano ad avere una rivista importante che si chiamava proprio Il caffè. E che su quelle pagine milanesi si formò e nacque anche uno dei più importanti libri della nostra tradizione letteraria (e giuridica); e che l’autore era il nonno di un altro romanziere non proprio secondario; e che quel romanzo di un nipote non secondario fece sorgere una folla di imitatori non molto bravi, tranne forse uno, che reinventò il genere…. e insomma, la domenica se ne andrà rapidamente, tra un link e l’altro, tra un libro e l’altro; come un viaggio, anche se non in Grecia, anche se da soli, senza nipoti.]