«Ecce D-dimero» – Il suo ruolo nella fibrillazione atriale
18 Maggio 2016due (forse tre) periferie
22 Maggio 2016Saper guardare le nuvole, si potrebbe chiamare (e io so che c’è gente che lo fa per mestiere, o per hobby: lo chiama “cloudspotting”, ho letto anche il libro qualche tempo fa, abbastanza bello, potrei anche consigliarvelo, c’è proprio gente che guarda le nuvole non per distrazione ma perché è la cosa che ha deciso di fare, i segni celesti che ha deciso di interpretare, come se fossero viscere. E aruspici i cloudspotter). Dunque saper guardare le nuvole, quando (come oggi) non c’è abbastanza cielo; o quando si trova il coraggio di non guardare l’azzurro, che forse è molto più difficile da guardare, mi pare di poterlo dire.
E però le nuvole, a ognuno, fanno venire in mente cose diverse. A qualcuno Aristofane, a qualcun altro De Andrè, a qualcuno come me, più facilmente, Eugenio Montale o Magritte, ad altri magari il profilo di un cantante o di un animale misterioso o di qualcuno che io non saprei nemmeno immaginare. Perché, mi pare di poterlo dire, le nuvole lasciano tanto spazio a chi le guarda, margini di libertà nell’interpretazione, e forse è questo che vanno cercando i cloudspotter (e noi, un pochino, anche), libertà, oltre l’azzurro.
E insomma, io non so se mi piacciono molto le nuvole e non so nemmeno, quindi, se mi piace molto il post che sto per segnalarvi e che per l’appunto, parla di nuvole. Però c’è una frase dentro il post che mi è piaciuta tanto, tantissimo: è una mezza citazione mezza no, non si capisce, ed è bella anche per quello. Dice così:
“prevediamo il momento esatto di un’eclissi, ma non sappiamo se potremo vederla”: una nuvola potrebbe frapporsi allo sguardo.
Il post invece, se vi può interessare, prosegue così:
Nella commedia di Aristofane, il coro delle Nuvole – le divinità evocate da Socrate a sostituire gli dei dell’Olimpo da cui traggono nome pianeti ed astri – è formato da donne sguaiate, maestre nell’arte di cianciare con “fumose sottigliezze”, simbolo delle filosofie che promettono la vittoria con l’inganno. Le nubi evanescenti modificano di continuo la loro forma, modelli di ogni metamorfosi; l’agitarsi casuale dei venti le rende simili a oggetti familiari, ricordano cavallucci marini, volti sorridenti o profili di animali. “Vedete voi quella nuvola che ha quasi la forma d’un cammello?”, chiede Amleto a Polonio, per poi leggere in essa una donnola e una balena. Dato che non hanno consistenza e invitano a vagare e divagare, le nuvole ci allontanano dalla verità, suggerisce la Repubblica platonica.