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vedere la letteratura

C’è lo scrivere e c’è il leggere (due atti che noi impropriamente chiamiamo con un nome solo, la letteratura) e c’è pertanto l’impressione (esatta) che entrambe le attività (così prettamente umane) siano legate all’immaginare, al vedere quello che nella realtà non si vede, al costruirsi la pittura intellettuale di qualcosa che altrimenti cesserebbe di esistere prima ancora di farsi nostro pensiero. C’è insomma la letteratura, la quale non si dà senza un’immagine intellettuale che si crea in noi mentre la scriviamo o la leggiamo, autori in ogni modo del libro che in quel momento abbiamo davanti.

Anche per questo (e anche perché so di almeno uno di voi cardiologi che sul cinema di Kubrick avrebbe molte cose da spiegarmi), anche per questo mi fa piacere oggi segnalare tre letture che a vario titolo, ma in perfetta consonanza si occupano del rapporto che può intercorrere tra lo «scrivere/leggere», atto primario della letteratura, e il «vedere», suo atto secondario, semplicemente immaginato, ma a volte (anche questo può esserne il bello) immaginato da altri.

Interssante, quindi, potrà rivelarsi il libro che indaga i rapporti non facili tra Stanley Kubrick e Stephen King, così come è interessante l’intervista all’autore di questo studio, che si chiama Alessandro Gnocchi e che, a un certo punto, dice così:

Volevo mostrare come King e Kubrick incarnino due visioni opposte del mondo e della vita. E lo facciano, questo mi colpisce molto, raccontando la stessa storia. King è uno scrittore morale (per carità: non moralista!), Kubrick un esteta. King sa dove collocare il Bene e il Male, Kubrick è un relativista. King sottolinea il libero arbitrio e la capacità di riscatto, Kubrick sembra muoversi in un universo in cui non c’è possibilità di scelta. King crede nel soprannaturale, Kubrick è uno scettico. Sono due estremi tra i quali noi tutti oscilliamo, anche nel corso della stessa giornata. Ma anche due posizioni culturali, espresse in termini pop, che hanno radici lontane.

 

Di meno immediata fruizione, ma senz’altro molto stimolanti anch’essi saranno alcuni disegni, che mi permetto di segnalarvi. Si tratta del lavoro di tre artisti americani contemporanei (qui presentato) che hanno deciso di illustrare uno dei più belli (il più bello, a inutile parere dello scrivente) tra i libri di Italo Calvino, Le città invisibili. In questo sito trovate i disegni (alcuni, sempre a inutile parere dello scrivente, sono bellissimi); e magari, non si sa mai, vi verrà voglia di (ri)leggere anche il libro, e di immaginarvi le città di Marco Polo in modo diverso da come se le sono immaginate loro (mentre non sapremo mai come se le immaginava Calvino…).

E infine, per chiudere e lasciarvi alla domenica di sole, una doppia intervista a Roland Barthes sulla fotografia e sul rapporto tra l’immagine fotografica e la letteratura nel Novecento. È di nuovo un bella e interessante riflessione, che può forse prendere le mosse da questo particolare spunto:

In senso stretto una grammatica della fotografia è impossibile, perché nella foto non c’è discontinuità (di segni); al più si potrebbe stabilire un lessico dei significati di connotazione, soprattutto nella fotografia pubblicitaria. Se si vuole veramente parlare della fotografia su un piano serio, bisogna metterla in rapporto con la morte. È vero che la foto è un testimone, ma un testimone di ciò che non è più. Anche se il soggetto è sempre vivo, è un momento del soggetto quello che è stato fotografato, e quel momento non è più. E questo è un trauma enorme per l’umanità e un trauma rinnovato. Ogni atto di lettura di una foto, e nel mondo ce ne sono miliardi in una giornata, ogni atto di cattura e di lettura di una foto è implicitamente, in maniera rimossa, un contatto con ciò che non è più, vale a dire con la morte. Credo che sia così che si dovrebbe affrontare l’enigma della fotografia, così almeno io vivo la fotografia: come un affascinante e funebre enigma.

Davide Profumo
Davide Profumo
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2 Comments

  1. ilcomizietto ha detto:

    A questo proposito sarebbe (anche) interessante fare un raffronto fra “2001 odissea nello spazio” libro e film, tenendo conto che Clarke e Kubrick lavorarono assieme al film e praticamente il libro nacque in contemporanea. Le due opere sono molto diverse nello spirito, pur raccontando la stessa storia.

    Uno dei rari casi in cui vedere il film e leggere il libro aiuta alla comprensione dell’opera, da considerarsi, a questo punto, come unica (film+libro).

    • Davide Profumo ha detto:

      Sì, è vero. Ricordo di averne parlato proprio con un medico appassionato di Kubrick, non molto tempo fa. Ed è magari uno di quei piccoli esperimenti letterari-artistici che proverò a non abbandonare per strada, come troppi altri…

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