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Uso off-label dei NAO nei pazienti con trombosi ventricolare sinistra: la cautela è indispensabile

A cura di Andrea Rubboli

 

Il significato prognostico sfavorevole della trombosi ventricolare sinistra (TVS), in termini sia di aumentata incidenza di tromboembolia sistemica che di morte, è riconosciuto da tempo ed è stato recentemente ribadito nell’articolo di Lattuca et al.1 commentato di recente anche in questo sito. La casistica retrospettiva, monocentrica di Lattuca et al. comprendeva 159 pazienti con diagnosi ecocardiografica di TVS, trattati, oltre che con eparina non frazionata o a basso peso molecolare nel 28% dei casi, con antagonisti della vitamina K nel 48% e con anticoagulanti orali non-antagonisti della vitamina K (NAO) nel 23% dei casi. Tra i risultati dello studio di Lattuca et al. è di particolare interesse l’assenza di interazione fra il tipo di anticoagulazione adottato e l’incidenza di eventi cardiovascolari, perché supporta la possibilità di utilizzo off-label dei NAO, a oggi studiati in modo rigoroso solo per la prevenzione di ictus/embolia sistemica nella fibrillazione atriale non valvolare e per la prevenzione e il trattamento del tromboembolismo venoso, anche in questo contesto clinico.

 

Risulta pertanto tempestiva la successiva e ravvicinata pubblicazione di Robinson et al.,2 nella quale viene analizzata comparativamente l’efficacia dei NAO vs warfarin in 514 pazienti con diagnosi ecocardiografica di TVS identificati retrospettivamente in 3 centri statunitensi. La popolazione era di sesso maschile nel 74% dei casi e l’età media era di 58.4 anni. Il trattamento con warfarin e NAO era stato effettuato nel 58% e 36% dei casi rispettivamente, incluso un gruppo, pari al 12% di tutti i pazienti, che era passato da un trattamento all’altro. In totale, quindi, i pazienti trattati solo con warfarin e NAO erano il 46% e il 24% rispettivamente del totale. I NAO utilizzati erano rappresentati in prevalenza da apixaban e in misura minore da rivaroxaban e ancora minore da dabigatran. Il follow-up mediano è stato di 351 giorni e gli eventi embolici inclusi dovevano essere clinicamente documentati. Per i pazienti che non avevano presentato un evento embolico o un altro evento maggiore (morte, trapianto cardiaco, impianto di dispositivo di assistenza ventricolare o trombectomia chirurgica) si provvedeva a intervista telefonica individuale.

All’analisi sia univariata (HR 2.71; 95% IC 1.31-5.57; p=0.01) che multivariata (HR 2.64; 95% IC 1.28-5.43; p=0.01), il trattamento con NAO vs warfarin si associava a un rischio significativamente maggiore di eventi embolici.

 

 

 

 

Una serie di ulteriori analisi ha evidenziato come il trattamento con NAO vs warfarin fosse associato a un rischio significativamente aumentato di morte o embolia sistemica (HR 1.55; 95% IC 1.05-2.30; p=0.03) e di embolia sistemica quando venissero esclusi i primi 10 giorni dall’esecuzione dell’ecocardiogramma diagnostico (HR 2.67; 95% IC 1.25-5.70; p=0.01), nei pazienti che avessero effettuato solo 3 mesi di terapia (HR 2.69; 95% IC 1-37-5-26; p=0.004) e in quelli in cui sono stati esclusi gli eventi avvenuti oltre 1 anno (HR 3.10; 95% IC 1.10-8.73; p=0.03). Ancora, l’impiego di NAO vs warfarin si è associato a un rischio significativamente aumentato di embolia sistemica nei pazienti con TVS di più lunga durata (HR 3.35; 95% IC 1.45-7.77; p=0.005), mentre nei pazienti che sono passati da un anticoagulante orale all’altro l’utilizzo per primo di NAO vs warfarin non è risultato associato al rischio di embolia sistemica (HR 1.42; 95% IC 0.68-2.96; p=0.35).

 

Pur riconoscendo i limiti del lavoro di Robinson et al., inclusi il carattere retrospettivo, l’assenza di un laboratorio centralizzato per la revisione degli ecocardiogrammi e l’assenza di informazioni sulle dosi di NAO impiegate e sull’aderenza al trattamento, è evidente come il messaggio che ne scaturisce è senz’altro forte, data la concordanza di tutte le analisi effettuate. Il fatto poi che i risultati provengano da una casistica ampia (la maggiore a oggi disponibile sulla TVS), ottenuta mediante una partecipazione multicentrica, caratterizzata da un numero rilevante di eventi embolici e analizzata nel corso di un prolungato e meticoloso follow-up, rappresenta un ulteriore importante elemento.

Se la formazione del trombo si attua attraverso la trasformazione del fibrinogeno in fibrina a opera della trombina, la cui inibizione diretta o indiretta rappresenta sempre e comunque il meccanismo ultimo di tutti gli anticoagulanti orali, perché dunque vi dovrebbero essere differenze di efficacia tra NAO e warfarin in differenti contesti clinici? La risposta, se esiste, è senz’altro articolata, ma il quesito non è sorprendente se si considera che, già nel contesto delle protesi valvolari meccaniche, il dabigatran indagato nello studio di fase II RE-ALIGN si era associato a un incremento tanto di eventi tromboembolici che emorragici rispetto a warfarin, al punto da indurre l’interruzione precoce della sperimentazione stessa. Il differente peso di meccanismi di formazione del trombo quali la stasi e il danno endoteliale tra fibrillazione atriale, tromboembolia venosa e TVS, come pure le differenze tra NAO e warfarin nella capacità di prevenire la formazione del trombo da un lato, rispetto a quella di promuoverne la dissoluzione, potrebbero rivestire un ruolo nei risultati osservati. Ancora, differenze fra i vari NAO, che sono stati impiegati con percentuali diverse nel presente studio e senza mai l’utilizzo di edoxaban, potrebbero essere state importanti. L’appropriatezza delle dosi impiegate e l’aderenza al trattamento sono altri fattori, di cui peraltro non si hanno informazioni, da tenere in considerazione. Infine, gli eventi embolici osservati potrebbero essere stati, almeno parzialmente, di origine extracardiaca (ad esempio aterotrombotica) o non trombotica, come suggerito forse dal fatto che la separazione delle curve di Kaplan-Meier di probabilità di sopravvivenza libera da eventi embolici avviene tardivamente rispetto all’inizio del trattamento e che un precedente evento embolico è risultato predittore di embolia sia all’analisi uni- (HR 2.13; 95% IC 1.22-3.72; p=0.01) che multivariata (HR 2.07; 95% IC 1.17-3.66; p=0.01).

 

 

 

 

In conclusione, lo studio di Robinson et al., pur lasciando insoluti numerosi interrogativi, permette di puntualizzare due incontestabili elementi, e cioè che sono necessari adeguati studi prospettici, randomizzati per determinare effettivamente quale sia la terapia anticoagulante orale ottimale nel paziente con TVS, e che nel frattempo l’uso off-label dei NAO nei pazienti con TVS debba essere praticato con cautela.

 

 

Bibliografia

  1. Lattuca B, Bouziri N, Kerneis M, Portal JJ, Zhou J, Hauguel-Moreau M, Mameri A, Zeitouni M, Guedeney P, Hammoudi N, Isnard R, Pousset F, Collet JP, Vicaut E, Montalescot G, Silvain J; ACTION Study Group. Antithrombotic Therapy for Patients With Left Ventricular Mural Thrombus. J Am Coll Cardiol. 2020 Apr 14;75(14):1676-1685.
  2. Robinson AA, Trankle CR, Eubanks G, Schumann C, Thompson P, Wallace RL, Gottiparthi S, Ruth B, Kramer CM, Salerno M, Bilchick KC, Deen C, Kontos MC, Dent J. Off-label Use of Direct Oral Anticoagulants Compared With Warfarin for Left Ventricular Thrombi. JAMA Cardiol. 2020 Apr 22. doi: 10.1001/jamacardio.2020.0652.
Andrea Rubboli
Andrea Rubboli
Past President, Dipartimento Cardiovascolare-AUSL Romagna, Unità Operativa di Cardiologia-Centro di Interventistica, Ospedale S. Maria delle Croci, Ravenna

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