i ritagli di gennaio
1 Febbraio 201802 V Sessione – Patients with new-onset AF, di A. Rubboli
8 Febbraio 2018Avrei voluto oggi, con parole sommesse, proporre una minima riflessione sul ruolo che la letteratura può avere nella nostra narrazione del mondo contemporaneo, tanto quello esteriore, in cui siamo immersi, quanto quello interiore, in cui siamo altrettanto immersi, ma non ce ne accorgiamo. E avevo pensato di partire da questa importante riflessione, che prende spunto da un libro di critica letteraria da poco uscito in Italia, e che si deve alla penna di Gian Carlo Ferretti. Il quale, cercando di analizzare i rapporti possibili tra la letteratura e le nuove forme di comunicazione connesse alle nuove tecnologie «social», per così dire, scrive così:
Con la diffusione sempre più ampia e sempre più invadente degli strumenti di comunicazione digitale, che cambiano il modo di gestire il proprio tempo, e di vivere il tempo libero (si pensi alle e-mail o alle letture in internet, e in generale agli smartphone), e con la diffusione quasi incontrollabile dei social network, l’immagine della letteratura conosciuta nel passato sembra essersi molto modificata, se non venuta meno. Questo non significa necessariamente che non si leggano più testi letterari, ma che la letteratura non ha più il ruolo sociale di formazione o di conoscenza che aveva in passato. O almeno la letteratura come la conoscevamo. A questo si aggiunge il discorso sulle diverse forme che la letteratura può presentare nei blog o in altri luoghi della rete. Venendo meno il ruolo che le era riconosciuto, sono venute meno altre cose: per esempio una precisa distinzione della qualità della letteratura, per cui tutto ciò che viene pubblicato sembra avere lo stesso valore. E questo è un problema di informazione, di trasmissione di valori, che investe comunque l’editoria.
E poi prosegue, introducendoci a un problema che avrà bisogno di ben ulteriori riflessioni ma che è comunque importante porre, fin da adesso.
Ma avrei anche voluto, e con maggiore entusiasmo, portarvi a conoscenza di questo straordinario fenomeno social, per così dire, in cui la letteratura più lontana da noi, quella del Medioevo, usa twitter per diventare nostra, per farsi quotidianità contemporanea, seguendo una strada che, a leggere l’articolo si è rivelata facilissima, ma che io non avrei assolutamente saputo prevedere. Si tratta, a dirla chiaramente, di un esperimento di lettura social della Commedia di Dante che, partita dal Sud America, sta riscuotendo un successo quasi planetario tra gli ispanofoni sparsi per il globo. E lo trovate raccontato qui, questo esperimento, e penso che vi commuoverà un po’, come un po’ ha commosso me:
La formula è semplice: un canto al giorno, per cento giorni. Si legge, ognuno per conto proprio, poi si inizia a twittare per commentare e cercare/offrire spunti di analisi. Il risultato? Un successo planetario. Dal Messico alla Colombia, dalla Francia all’Australia, migliaia di utenti di lingua spagnola (una bolgia, verrebbe da dire) hanno lasciato ogni speranza per unirsi al viaggio 3.0 guidato da Virgilio. […] Sette secoli dopo, Dante è diventato un best seller virale: in molte librerie di Buenos Aires è diventato introvabile. […] Dal primo gennaio nella selva oscura di Twitter si è riunita una comunità eterogenea: ci sono dantisti di fama internazionale (alcuni hanno aperto un account appositamente), ministri, storici e addirittura l’ex calciatore Asprilla. Ma la maggior parte sono anonimi lettori. Il progetto è diventato virale, allargandosi a Instagram: ogni giorno alcuni disegnatori pubblicano l’illustrazione del canto da leggere. Altri, invece, hanno tracciato la «mappa» dell’inferno per non smarrirsi tra i dannati. E dal mondo virtuale, lussuriosi e avari hanno invaso quello reale…
Oppure avevo anche pensato di proporre un semplice articolo che, a questo proposito (cioè del ruolo che alcuni classici possono ancora avere nella nostra comprensione della contemporaneità), proponesse dei libri che voi avreste potuto leggere per farvene un’idea. E avevo trovato anche questo post, scritto da Francesco Longo, che mi era utile soprattutto per le sue splendide righe conclusive, queste:
Come sempre, le minacce nascoste dentro a un diluvio universale sono in realtà semplicemente le domande che il mondo pone a se stesso quando attraversa una fase di transizione. Qualche risposta arriva a volte, instancabilmente, dal passato.
Avrei voluto ma non posso. Perché le grida che arrivano da fuori, grida di innocenti feriti da colpi di arma da fuoco, mi impongono un’altra urgenza, l’unica che mi sento oggi di poter avere. E ci sono parole che non voglio rimandare, perché altrimenti tutta la letteratura del mondo, o anche solo tutta quella che ho letto e di cui mi sono assai modestamente occupato io in questi anni, non troverebbe il senso di chiamarsi tale. E ben sapendo che ormai è solo di questo che in verità stiamo discutendo (ed è la mia maggior tristezza, anche questo voglio chiaramente dirlo), e che tutto è bugia raccontata per celare questa misera e infelice e meschina domanda di consenso, vorrei che le mie parole di oggi e dei giorni scorsi potessero essere soltanto queste (grazie ad Andrea Vigani che le ha scritte):
Un uomo che si mette a sparare per strada contro chiunque abbia la pelle nera e che fa il saluto fascista davanti a un monumento al milite ignoto, un uomo con un simbolo nazista tatuato sul volto e una croce celtica sul braccio, compie un atto politico ben preciso, con una matrice ideologica così evidente che non si capisce cos’altro dovrebbe fare perché sia riconosciuto e chiamato con il suo nome. […] Questo non è il momento della cautela e non è il momento del silenzio, è il momento della parola, della parola che non lascia spazio alle ambiguità: o si condanna e si rifiuta ogni discorso politico violento e xenofobo, si riconosce il pericolo dell’istigazione all’odio razziale, delle ambiguità di certe posizioni securitarie, o si è complici del prossimo che deciderà di averne abbastanza.