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11 Giugno 2018la sopravvivenza culturale
17 Giugno 2018Ho letto, un paio di giorni fa, un lungo intervento di Javier Cercas sull’idea di Europa (anzi: sull’utopia di Europa, come lui scrive) e non ho ancora smesso di pensarci. Cercas mi piace ad anni alterni, lo confesso: nel senso che alcuni suoi romanzi mi piacciono molto, altri mi piacciono meno, e questo mi succede da un decennio almeno ma ogni volta mi lascio comunque sorprendere dai miei stessi umori, confesso anche questo. Ma I soldati di Salamina, che Cercas scrisse diversi anni fa, resta un romanzo bellissimo, secondo me.
Però, a parte i suoi libri (che sono appunto il mio suggerimento di oggi), Cercas dice in questo suo intervento tante cose sull’Europa che mi sono sembrate importanti in giornate come queste, in cui abbiamo spesso tirato fuori il nome del nostro vecchio continente per giustificare la nostra repulsione nei confronti di chi cerca di raggiungerlo, evidentemente spinto da una disperazione che non ci appartiene più. E quindi mi è sembrato necessario riflettere su questa idea (o utopia, se preferite, come Cercas preferisce).
Ma prima ancora, c’è l’apertura del discorso di Cercas che mi è piaciuta quasi di più di tutto il resto (perché, si sa, ci piacciono molto le parole che confermano quello che già pensiamo noi, è normale). E le parole con cui Cercas esordisce, a proposito di se stesso e dei suoi libri, sono queste, perfettamente calibrate:
… i libri non esistono senza i lettori. Metà di un libro ce la mette lo scrittore; l’altra metà ce la mette il lettore. Un libro è soltanto una partitura, e sono i lettori a interpretarla, e per di più ogni lettore la interpreta a modo suo. Un libro senza lettori è soltanto lettera morta; è quando il lettore apre le pagine del libro e inizia a leggerlo che quella lettera morta acquista vita, una vita ogni volta nuova e diversa. Per questo i lettori arricchiscono i libri, aggiungendo loro dei sensi che senza dubbio erano nelle pagine, ma dei quali non sempre l’autore era del tutto consapevole. Per questo Paul Valéry dice che non è l’autore, ma il lettore, a fare i capolavori, un lettore rigoroso, dotato di acutezza, di lentezza, di tempo e di ingenuità armata.
E poi, a questo punto, arriva l’Europa, la nostra utopia, quella a cui stiamo credendo, o forse no: quella a cui abbiamo smesso di credere, che è il tema-chiave di Cercas, e anche il nostro, e anche quello di chi, disperato, cerca di raggiungerla, come più di tremila anni fa fece Enea, il profugo che fondò il nostro mondo. E dell’Europa, lo scrittore spagnolo comincia a scrivere così:
Ho detto che per me è un onore tenere questa conferenza; dovrei aggiungere che è anche un impegno, per non dire un’avventatezza, perché mi hanno chiesto di parlare dell’Europa, o della mia idea di Europa. Il problema è che, al di là del fatto che è il continente in cui vivo, non so bene cosa sia l’Europa; difatti, se mi vedessi costretto a rispondere con una sola frase a questa domanda, probabilmente la cosa più onesta sarebbe riprendere ciò che dice Sant’Agostino, nelle sue Confessioni, all’inizio di una sensazionale riflessione sulla natura del tempo: «Se nessuno mi domanda cos’è l’Europa, lo so; però, se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so».
E poi prosegue,piuttosto a lungo, dicendo cose interessanti e proponendo idee importanti, per la nostra idea di Europa, che è anche, ovviamente, la nostra idea di noi stessi. Il mio consiglio è di prendersi un quarto d’ora e di leggere tutto, insomma. Forse ci aiuterà a capire chi siamo; e chi sono gli altri che respingiamo; forse semplicemente ci suggerirà che ogni tanto è necessario fermarsi e chiedersi chi siamo, anche se ci pare impossibile darci una risposta. Forse l’importante è la domanda; ed è forse dalla domanda su chi siamo noi che potrebbe partire anche una nostra idea dell’altro, un po’ meno gretta e chiusa di quella che, mi pare, abbiamo in questo momento. Ma leggerete Cercas, se ne avrete voglia, e mi direte se anche voi pensate queste cose; o se invece mi sbaglio io.