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una poetessa

Io ho un debole per Patrizia Valduga, lo ammetto. Probabilmente è un debole che mi coltivo segretamente fin da quando, ragazzo, lessi le Canzonette mortali di Giovanni Raboni (comprate per caso a un reading del Raboni stesso e perché erano il suo libro più esile, che costava di meno: 14.000 lire) e ne rimasi incantato. E non sapevo che ne era proprio esattamente lei, Patrizia Valduga, la protagonista (e non lo seppi per molti anni a venire, tra l’altro). O forse è un debole, il mio, che nasce dall’averla sentita in radio, qualche mese fa, discettare con noncurante insofferenza di giovani poeti, con splendida stanchezza di donna troppo intelligente. Oppure, non lo so, mi piacciono semplicemente le sue poesie erotiche, per motivi facili, perché sono erotiche, roba del genere, tipo pornografia per intellettuali di provincia, fate voi.

 

Ma insomma, al netto dei presumibili motivi, il mio debole per Patrizia Valduga si esplica oggi nel segnalarvi questa intervista in cui la poetessa risponde a domande di Matteo Fais su poesia e letteratura, dicendo tante cose che condivido alcune altre che non condivido o forse, più probabilmente, che non capisco. Ma lo fa, la poetessa, tacendo il suo amato Torquato Tasso e citando invece Manzoni e Raboni e Carlo Porta e Tommaso Ceva e una folla di altri scrittori che me la fanno amare anche oggi, come tutte le volte che la leggo o la sento parlare alla radio, con rapimento adolescenziale. Qui, per esempio:

 

Secondo me tutto quello che si scrive è politico, se lo si dà a un pubblico e se veicola un pensiero. Non è politico quello che non significa niente, che è vacuo e inutile, che aggiunge solo nebbia e fumo alla confusione presente, che ci insegna a essere ignoranti. Ma forse è politico anche quello, in senso reazionario… La letteratura deve invece aiutare a conoscere, a capire sé stessi e il mondo. Raboni diceva che le sue liriche più private erano quelle più politiche. Lei non sa quanto mi piacerebbe assomigliargli. Ma io non sono così grande…

 

O anche qui:

 

Reazionaria” è una brutta parola… ma “fedeltà alla tradizione del sonetto e alla rima barocca” mi piace molto. Penso che il compito della poesia sia unicamente quello, come diceva Mallarmé, di “dare un senso più puro alle parole della tribù”. Non si tratta che di questo, di salvare la lingua dalle contaminazioni, dall’impoverimento, dall’imbarbarimento, dalla burocratizzazione, dall’americanizzazione, da tutto quello che subisce. Senza tenerla immobile però, senza imbalsamarla… sia in forma chiusa che in forma aperta.

 

E poi, se invece voi non coltivaste nessun tipo di passione per la poesia di Patrizia Valduga, ecco, io non saprei cosa altro consigliarvi, in una domenica buia come questa. Forse un nuovo autore (davvero un po’ imbalsamato) entro la collana dei «Meridiani»; oppure il racconto di una città a cui non pensiamo molto facilmente, come meta per una fuga qualunque; oppure la facile stroncatura dell’ultimo libro di Francesco Piccolo, se vi sentite un po’ facilmente cattivi. Ma è poca roba, lo ammetto: la Valduga si è divorata tutto il resto. Succede, secondo me, quando una poetessa è davvero una poetessa.

 

Già una nuova notte si solleva
e trasale… mi spia…
maledice la mia malinconia.
E dalla luna: Ascolta
la tua vita è bugia.
Ma ancora non lo so l’alba che sia.

Davide Profumo
Davide Profumo
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