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un sorriso

Ho pensato questa cosa banale stamattina; e la scrivo un po’ vergognandomi, perché è davvero troppo banale. Ho pensato che niente mi mette più a mio agio delle persone che sorridono, cortesemente, senza bisogno di ottenere troppo in cambio, un sorriso fugace, un sorriso di saluto, un segno di gentilezza, nient’altro, questa cosa così banale che ci si vergogna a scriverla.

 

Ho pensato che per essere il 25 aprile sono uno che pensa cose davvero poco originali. Però, mi sono detto, lo scrivo lo stesso. Perché, visto che celebriamo una giornata in cui in tanti (nostri nonni, nostri progenitori, nostri padri fondatori) pensarono che stava nascendo un mondo migliore (e così in effetti era), il mio mondo migliore è anche un luogo con qualche sorriso in più. Un luogo, per esempio, in cui queste risposte date a una cassiera non sono nemmeno pensabili (cliccare qui, che peccato…).

 

E tutto questo l’ho modestamente e banalmente pensato grazie a un lungo articolo sul sorriso nelle opere d’arte (lo so, viene subito in mente la Gioconda, anche a me: ci sarà la Gioconda, in effetti, ma non solo quella), perché tante volte mi sono chiesto se gli antichi sorridessero di meno, se avessero magari tutti i denti guasti, se il sorriso fosse percepito come qualcosa di volgare, tanto da non figurare mai in nessun dipinto che io sapessi ricordare (e quello della Gioconda, via, non vale, lo sappiamo tutti, è un sorriso «enigmatico», chissà cosa nasconde, non ci aspettiamo mica quello dalla signora che ci accoglie a scuola, in portineria, o dal barista che ci serve il caffè, o dallo studente che entra in classe e ci saluta – forse).

 

Il post è parecchio interessante, lo ha scritto Nicholas Jeeves e a un certo punto (dopo altre considerazioni rilevanti) ci si trova questo pensiero, a parer mio fondamentale:

 

Ecco il punto critico: se un pittore avesse convinto il suo modello a sorridere, e avesse scelto di dipingerlo così, avrebbe immediatamente radicalizzato il ritratto, proprio perché era un gesto insolito e indesiderabile. Improvvisamente l’immagine avrebbe avuto come tema solo il sorriso, e questo non è quasi mai quel che desiderava un artista o un soggetto pagante. Un ritratto non era mai una rappresentazione fedele di una persona, ma una formale e ideale. L’ambizione non era quella di catturare un istante, ma una certezza morale.

 

Non l’istante, quindi, ma la durata: e si sorride invece per un attimo, per una frazione minima da tempo, per una brevità (le «sorrise parolette brevi», scrisse Dante, sempre lui: e si parlava di Beatrice ed era il Paradiso…). Mentre la durata è l’ostinazione della certezza morale, quella che si mette in mostra; e proprio oggi ho letto qui (clic), e me ne sono lasciato quasi convincere, che l’ostinazione può sostituire quasi tutto, anche il coraggio, forse pure il talento. Ma era questa la cosa che forse oggi volevo dire, a ripensarci bene: che tra il sorriso breve e l’ostinazione duratura e imperterrita io, chissà perché, ho sempre preferito il primo.

Davide Profumo
Davide Profumo
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