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era una notte buia e tempestosa

Oggi ho imparato una cosa importante, secondo me. Una cosa che non sapevo a causa della mia superficialità, evidentemente; e che evidentemente tutti voi saprete già, è possibile. Una cosa talmente importante, secondo me, che voglio immediatamente condividerla con voi, nel remotissimo caso ch anche uno solo di voi pochi lettori fosse stato (nel corso degli anni) superficiale come me e ancora non la sapesse. Oggi ho imparato che «Era una notte buia e tempestosa» (It was a dark and stormy night) è davvero l’incipit di un romanzo, che fu scritto da Edward Bulwer-Lytton nel 1830.

 

L’ho imparata, questa straordinaria cosa, grazie a un rapido post scritto da Davide Coppo a proposito di piogge e di tempeste e di cielo e di nuvole. Un post sulla meteorologia contemporanea che mi ha fatto capire un’altra cosa, a cui non avevo dato la necessaria importanza nel corso di tutti i miei superficiali anni. Un post che un certo punto dice così:

 

Le forze che governavano le onde, i venti, le piogge, erano sempre state sconosciute e, come accade spesso con le cose sconosciute, relegate alla sfera religiosa. Poseidone comandava i mari, altre divinità le brezze, gli incendi, le siccità. In The Weather Experiment di Peter Moore si racconta di come, nel Medioevo in Europa, si usasse suonare le campane delle chiese quando una tempesta si avvicinava, per scacciare le nuvole. Poi, empiricamente, la meteorologia iniziò a farsi strada: uno sconosciuto quacchero, Luke Howard, classificò le nuvole nell’Essay on the Modification of Clouds, in cui introdusse termini che utilizziamo ancora come cirrus, cumulus, stratus; l’ammiraglio Francis Beaufort compilò la prima scala dei venti, basata soltanto sull’osservazione ma piuttosto precisa; Robert Fitzroy, il capitano del Beagle su cui viaggiava Charles Darwin, insistette per pubblicare sui giornali britannici le prime previsioni del tempo, ma andò malissimo, e finì per uccidersi. Forse saremmo meno leggeri e più sensibili nel lamentarci delle imperfezioni delle previsioni, oggi, se avessimo saputo quanto quel dileggio costò a Robert Fitzroy.

 

Quindi la seconda cosa che ho imparato oggi, grazie al post di Davide Coppo, è che anche quando parliamo del tempo, in ascensore o al bar (per non parlare di politica o di calcio, che magari si litiga), ecco, anche in quell’innocuo momento, non stiamo facendo nulla di innocuo. Ci diciamo anzi che siamo figli della nostra epoca, dei nostri anni, del nostro tempo appunto. E cioè ci riconosciamo coinquilini, coabitanti dello stesso pianeta, sotto lo stesso cielo e sotto le stesse nuvole. Era questa la cosa importante.

Davide Profumo
Davide Profumo
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