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un isolamento

C’è un libro che sto leggendo in questi giorni e che non so nemmeno se davvero mi sta piacendo, ma che continuo a leggere, un po’ ipnotizzato (a volte i libri, lo so, mi ipnotizzano e io aspetto che smettano di farmi quell’effetto e solo a quel punto capisco se mi sono davvero piaciuti o no, e in genere, peraltro, è no). Il libro lo ha scritto Frédéric Beigbeder, che un po’ a me dà fastidio quando scrive (perché ha quell’atteggiamento che non so, mi pare che, sotto sotto, un po’ esageri…) ma in generale sa quello che scrive e anche come scriverlo. Il libro è una storia d’amore, ma non solo: è anche una storia di fallimenti e di isolamenti, visto che l’amore coinvolge nientemeno che J.D. Salinger, l’autore di Il giovane Holden (ecco, un altro libro che mi ipnotizzò ma che, alla fine – e ora lo so che mi direte cose orribili, lo so, sono pronto… – non mi è mica davvero piaciuto). Però insomma questo libro di Beigbeder forse è bello e sicuramente è bella la storia d’amore (impossibile) che racconta, tra Salinger e una ragazza bellissima che si chiamava Oona, e con cui mi sta infatti ipnotizzando. Lo trovate raccontato bene in questo post (anche se non so se condivido con il recensore la critica del finale, perché al finale non ci sono mica ancora arrivato) (ma ho sottolineato una frase bellissima, se me lo permettete):

 

A quanto pare Oona era di rara bellezza, con un fascino da vendere, e aveva ai suoi piedi la New York che contava. Di lei l’amico comune Truman Capote, che di Salinger non poteva certo essere considerato un rivale, dirà che a quell’età aveva un solo difetto: era perfetta, e che, a parte questo, era perfetta. Le foto che ci rimangono della ragazza parlano da sole. Del tutto imperfetto, in compenso, doveva essere il giovane Salinger: pieno di sé, irritabile e naturalmente geloso. (“Sono il tuo Hitler e tu sei la mia Francia”, scrive Salinger nella lettera a Oona dell’8 maggio 1942). L’analisi di Beigbeder è impietosa: quell’amore, per passionale e platonico che fosse, non poteva durare. E infatti non durò…

 

E poi, a proposito del protagonista sfortunato dell’amore, vorrei dire che comunque Salinger è uno di quei casi (rari) in cui l’autore mi è piaciuto di più del suo libro, da sempre. Per quella sua ostinazione a isolarsi che, nemmeno tanto segretamente, ho sempre ammirato e in cui ho sempre, chissà se a torto o meno, riconosciuto una volontà di stare fuori, di non accettare, di mettersi da parte, come se fosse l’unica possibile (e la più efficace) tra le proteste. E allora, visto che ci siamo, vi segnalo anche un altro post che parla di quello che un artista (o uno scrittore, come in questo caso) possa starci a fare nel mondo. L’ho letto qualche giorno fa e mi è subito piaciuto; per cui mi sembra giusto non tenerlo nascosto:

 

È stato affermato che l’artista deve stare al di fuori, o al massimo ai margini, io invece dico che può starsene dove vuole, perfino in mezzo, basta che non dimentichi di dubitare: chi non dubita è stagnante, si prosciuga, inaridisce. Un artista che dubita può darci una nuova prospettiva sull’essere umano, sul giorno che sta per finire, sulla notte che giunge e ci passa attraverso mentre dormiamo.

Davide Profumo
Davide Profumo
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1 Comment

  1. umberto ha detto:

    L’imperativo del dubbio é di ogni uomo e, in particolare, della dimensione intellettuale di ogni uomo. Cosa sono la ricerca e il progresso se non una sequenza di dubbi-ricerche-conferme e dubbi ?
    Definire il compito dell’artista é difficile, forse paradossale: l’arte rifugge ogni definizione perché ogni definizone é anche un limite.
    Io direi che l’artista ha il compito di pensare e, forse, agire in modo originale.

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