Voce del verbo
24 Settembre 2015peccato, però
24 Settembre 2015A cura di Gianfranco Cucchi
RIASSUNTO
Viene descritto il caso clinico di un uomo colpito da infarto miocardico acuto inferiore e del ventricolo destro 21 anni fa trattato con trombolisi: alla coronarografia evidenza di coronaropatia trivasale, ma in considerazione di un test ergometrico negativo per ischemia miocardica si è optato per terapia medica conservativa. Dopo sospensione di aspirina nel febbraio 2015 giunge in UTIC colpito da infarto miocardico infero-dorso-laterale (STEMI) e sottoposto a rivascolarizzazione miocardica con impianto di multipli stent medicati. Il caso clinico riportato è emblematico per riflettere sulla fisiopatologia della malattia coronarica acuta e sulla valutazione di procedere sempre a rivascolarizzazione percutanea.
SUMMARY
It describes the clinical case of a man suffering from acute inferior myocardial infarction and ventricular right 21 years ago treated with thrombolysis: at the three-vessel coronary evidence of coronary artery disease, but in view of an exercise test negative for ischemia miocardica has opted for conservative medical therapy. After suspension of aspirin in February 2015 he arrived in CCU suffered myocardial infarction inferior-dorsolateral (STEMI) and subjected to myocardial revascularization with implantation of multiple drug-eluting stents. The clinical case reported is emblematic to reflect on the pathophysiology of acute coronary disease and the evaluation of always proceed to percutaneous revascularization.
La causa unica scatenante la trombosi coronarica e quindi l’infarto miocardico acuto non è ancora nota. Vi sono numerosi fattori di rischio ormai noti anche al grande pubblico che possono aumentare la probabilità di essere colpiti da un attacco cardiaco, ma non ci meravigliamo quando anche persone giovani, con un rischio cardiovascolare globale basso, vanno incontro a questa malattia acuta. Lo stupore è di questa categoria di malati, spesso informati dei rischi coronarici, che ci chiedono conto del perché sono andati incontro a una sindrome coronarica acuta a cui spesso non sappiamo dare una risposta convincente.
La natura del processo aterosclerotico coronarico non è compiutamente conosciuta.
Anche se non sono stati fatti molti passi in avanti sull’eziopatogenesi dell’infarto miocardico acuto alcuni progressi si sono affermati nella cura dell’IMA soprattutto STEMI con la trombolisi e la Ptca primaria.
In particolare la ricerca clinica cardiovascolare italiana ha sancito, con gli studi Gissi, l’importanza di una riperfusione miocardica precoce che riduce in modo esponenziale la mortalità coronarica: il tempo salva il muscolo cardiaco!
Ma la Ptca primaria e la trombolisi, pur dissolvendo il trombo, non eliminano la malattia coronarica che ha necessità di terapia farmacologica continuativa e cronica.
È facile visitare nei nostri ambulatori cardiologici persone colpite da infarto miocardico 15-20 anni fa, anche trattate con trombolisi, non sottoposte a procedura di coronarografia che assumono regolarmente la terapia cardiologica sottoponendosi a periodici controlli clinico-strumentali che non hanno evidenziato ischemia miocardica residua. È facile pensare che in questi soggetti la coronarografia avrebbe evidenziato delle stenosi coronariche con relative Ptca e inserimento di stent.
Si segnala il caso clinico di una persona colpita da infarto miocardico acuto inferiore (Stemi) in cui la coronarografia ha evidenziato patologia coronarica trivasale non seguita da rivascolarizzazione miocardica.
CASO CLINICO
S.M., maschio di 52 anni, fattori di rischio cardiovascolare: fumo, famigliarità per cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, dislipidemia. Nel 1994 viene colpito da infarto miocardico acuto inferiore (Stemi) e del ventricolo destro complicato da blocco atrio-ventricolare totale e shock cardiogeno. L’esame ecocardiografico dimostrava ipocinesia della parete libera del vn dx, ipocinesia della parete infero-posteriore con F.E conservata. Ricoverato presso l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica dell’Ospedale di Sondrio, prontamente viene praticata terapia trombolitica con rtPA, con segni di avvenuta riperfusione.
Non essendo allora la struttura dotata del Laboratorio di Emodinamica, a distanza di alcuni giorni viene trasferito presso un centro cardiologico ove ha eseguito dapprima un test da sforzo al cicloergometro risultato negativo per riduzione della riserva coronarica. Si è ritenuto comunque opportuno eseguire angiografia coronarica che ha documentato malattia coronarica trivasale per la quale tuttavia, in considerazione dell’asintomaticità del paziente e della negatività della prova ergometrica, non si è ritenuto di procedere a un intervento di rivascolarizzazione miocardica. In particolare la coronarografia evidenziava una stenosi del 75% a livello del segmento medio del ramo interventricolare anteriore, una stenosi lunga del 75% al segmento medio del ramo circonflesso e un duplice stenosi del 50% prossimale e distale della coronaria dx.
Il paziente viene dimesso con la seguente terapia: metoprololo 100 mg x 2, acido acetilsalicilico 100 mg, simvastatina 20 mg die.
Il paziente in seguito si è sottoposto a regolari controlli cardiologici, supportati da test provocativi risultati sempre negativi per ischemia miocardica, eseguendo nel contempo appropriata terapia cardiologica coronaroattiva.
Alla fine di gennaio del 2015 viene inspiegabilmente sospesa cardioaspirin 0,1 gr che il paziente aveva sempre assunto regolarmente. Il 25 febbraio viene ricoverato presso la nostra UTIC affetto da infarto miocardico Stemi infero-dorso-laterale: alla coronarografia eseguita d’urgenza viene evidenziata stenosi subocclusiva del tratto prossimale della coronaria dx, stenosi dell’80% al tratto medio-distale trattate con Ptca + inserimento di stent multipli a rilascio di farmaco. Dopo alcuni giorni viene completata la rivascolarizzazione miocardica con aterectomia rotazionale e impianto di stent medicati al tratto prossimale-medio del ramo interventricolare anteriore. L’ecocardiogramma evidenziava ipocinesia della parte inferiore, posteriore e laterale con Fe 50%. Viene quindi dimesso in buone condizioni cliniche in terapia con bisoprololo 1,25 mg, ticagrelor 90 mg x2, acido acetilsalicilico 100 mg, atorvastatina 80 mg , ramipril 1,25 mg.
DISCUSSIONE
La descrizione di questo caso clinico evidenzia alcune caratteristiche della fisiopatologia della malattia coronarica acuta.
Infatti questo paziente per venti anni, dopo il primo evento infartuale complicato, è stato portatore di una malattia coronarica trivasale stabile ben controllata dalla terapia cardiologica appropriata, in assenza di evidenza di ischemia miocardica. Sarà stato un caso (?), ma dopo venti giorni dalla sospensione dell’aspirina è stato colpito da recidiva infartuale omosede.
In letteratura è nota la discordanza tra valutazione angiografica e quella funzionale con FFR (1-2). In uno studio del medico belga Toth e coll. (3) in 4000 stenosi coronariche valutate critiche si è evidenziata una discordanza del 30% tra anatomia e funzione. Questa evidenza conferma che la severità di una stenosi coronarica può essere più correlata allo stato del microcircolo e dalla presenza di miocardio vitale a valle che solo dalla riduzione del lume.
Può essere valutato che una stenosi del 70% in un tratto medio distale del ramo interventricolare anteriore, può produrre ischemia in un vasto territorio e può essere emodinamicamente non rilevante rispetto a una stenosi inferiore al 50% del tronco comune.
Nel 2014 l’analisi di un sottogruppo dello studio Courage (4) ha evidenziato che il volume ateromasico complessivo, rispetto al carico ischemico possa essere più predittivo di eventi coronarici.
In riferimento alle recenti conoscenze fisiopatologiche è noto che una stenosi severa del lume coronarico non è tanto predittiva di eventi coronarici quanto la possibilità di rottura di placche aterosclerotiche non ostruttive, situate prevalentemente nello spessore della parete vascolare denominate placche vulnerabili che non sono evidenziabili con la coronarografia ma che si possono caratterizzare dalla virtual histology, ancora in fase sperimentale.
Queste problematiche di estremo interesse sono al centro di un trial multicentrico internazionale denominato Ischemia (International Study of Comparative Health Effectiveness with Medical and Invasive Approaches). La ricerca prevede l’arruolamento di oltre ottantamila pazienti sottoposti a due trattamenti differenti, medico e interventistico, con coronaropatia stabile, seguiti per quattro anni. I risultati non saranno noti prima del 2019.
Nella pratica comune, nel frattempo, gli interventi coronarici si basano sull’entità della riduzione del lume coronarico al riscontro angiografico prescindendo dal contesto fisiopatologico, clinico e prognostico, quindi rivascolarizzando su base anatomica. L’ampia diffusione e disponibilità di tecnologie diagnostiche ha incrementato anche nella coronaropatia un eccesso di diagnosi e di trattamenti a volte non necessari nelle forme a basso rischio. Nel 1988 E. Topol (5) definiva questo fenomeno con una frase diventata famosa: “riflesso oculo-stenotico”.
Siamo sicuri che continuare a dilatare stenosi coronariche, che non sappiamo se daranno degli eventi coronarici acuti sia una buona pratica clinica?
Recentemente sono stati pubblicati i risultati dello studio RITA-3 (Randomized Trial of Interventional Instabile Angina) (6-7-8-9) che comprendeva 1810 pazienti provenienti da Inghilterra e Scozia. Lo studio non ha dimostrato differenze significative a dieci anni di distanza in termini di mortalità tra coloro che erano stati sottoposti a strategia invasiva-interventistica rispetto a coloro che erano stati arruolati nel braccio di terapia medica-conservativa.
La misura dell’appropriatezza, anche nell’interventistica coronarica, ha suscitato un ampio dibattito in particolare negli Stati Uniti con una campagna informativa chiamata “Choosing Wisely” (10-11-12), ma il problema non è stato preso ancora in seria considerazione nei Paesi europei.
Già negli anni ’90 Sandro Spinsanti (13) scriveva:
La buona medicina ci appare il frutto di una contrattazione molteplice che deve tener conto di tre diversi parametri: l’indicazione clinica (il bene del paziente), le preferenze ed i valori soggettivi del paziente ed infine l’appropriatezza sociale. Alle due dimensioni finora considerate, oggi dobbiamo infatti aggiungerne una terza: l’appropriatezza sociale degli interventi sanitari, in una prospettiva di uso ottimale di risorse limitate, solidarietà con i più fragili ed equità. L’assistenza sanitaria, dovendo conciliare nelle sue scelte esigenze diverse e talvolta contrastanti, senza minimamente rinunciare alle esigenze della scienza, ci appare oggi più che mai un’arte. L’ideale medico dell’epoca postmoderna è una leadership morale.
BIBLIOGRAFIA
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- Mancini J G.B, Hartigan P M,Shaw LJ et Al Predicting Outcome in the Courage Trial (Clinical Outcomes Utilizing Revascularization anf Aggressive Drug Evaluation) JACC 2014 vol 7 195-201.
- Topol EJ, Nissen SE. Our preoccupation with coronary luminology. The dissociation between clinical and angiographic findings in ischemic heart disease Circulation 1995, 92:2333-2342.
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- Fox KAA, Poole-Wilson P, Clayton TC et al. Five-year outcome of an interventional strategy in non-ST-elevation acute coronary syndrome: The British Heart Foundation RITA-3 randomised trial. Lancet 2005; 366:914-920.
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- “Le apparenze ingannano”, su dottorknock.com, 10 aprile 2014.
- Spinsanti S, La qualità nei servizi sociali e sanitari: tra management ed etica, da: J.Ovvretveit, La qualità nel servizio sanitario, EdiSES Napoli 1996.