a dirci chi siamo
4 Febbraio 2017Una nuova classe di ipolipemizzanti: gli oligonucleotidi terapeutici
9 Febbraio 2017Guardate, vi avverto subito: farò finta, in qualche modo, che i tre post che ho deciso di segnalarvi oggi abbiano in comune qualcosa, dicano tutti insieme qualcosa che riguarda il nostro tempo, il secolo che abitiamo, il futuro che aspettiamo o il passato che abbiamo dimenticato, la giornata di oggi. Ma forse non è così. Forse hanno in comune soltanto me, il mio stato d’animo, il mio sentire nell’aria qualcosa che voi non sentirete e che nei post, magari, non c’è per niente. E vorrei dirvi: «pensateci bene», che così troverete il filo che lega questi tre post; ma credo che vi mentirei, che sarebbe soltanto un artificio retorico, perché non è così. Gli insetti non hanno niente in comune con le danze macabre e le danze macabre non hanno niente in comune con la tristezza dei poeti e quest’ultima, la tristezza dei poeti, non può avere niente in comune con gli insetti. Come è ovvio. Anche se hanno tutti e tre qualcosa in comune con me. Anche se forse…
Vabbè, arrivo ai post, il mio dunque. E il primo di questi post l’ho scelto forse soltanto perché Guido Mazzoni sa dre quello che penso io, anche quando non so di pensarlo; e ogni volta che Mazzoni scrive o parla, io lo ascolto con attenzione, perché mi pare il più lucido tra i nostri critici e letterati, quello che ha più cose da dire sulla contemporaneità. Oggi nel corso di una bella e lunga intervista, racconta questo piccolo episodio qui, che a me sembra molto significativo:
Qualche anno fa, alla fine di un esame su Leopardi e Montale, una studentessa mi chiese “ora che l’esame è finito posso farle una domanda? Perché questi poeti sono tutti così depressi, tutti così tristi? Perché parlano solo di cose tristi?”. È una domanda molto intelligente: significa che la cultura del negativo cui Leopardi e Montale appartengono, la cultura che non riesce a trovare un senso dopo la fine delle grandi trascendenze religiose e laiche, è estranea alla logica interna della vita quotidiana popolare e borghese. Quest’ultima, fino a quando resta lontana dalle soglie, non soffre di insensatezza, sta perfettamente in piedi grazie ai propri valori, alla propria miopia protettiva, alla rimozione delle domande ultime sul Senso e la Giustizia. Chi le appartiene può angosciarsi per problemi concreti, ma non capisce versi come “a me la vita è male” o “la vita è questo scialo/ di triti fatti vano/ più che crudele”. E non può capire, si parva licet, perché ogni vita debba essere solo se stessa. Quando scrivo mi capita di pensare spesso alla domanda di quella studentessa.
Poi ci sono gli insetti, e forse li ho scelti soltanto a causa della mia perenne entomofobia, il mio aver paura di loro, per quanto piccoli siano, non so perché, una specie di terrore, soprattutto di quelli che strisciano sui muri, come gli scarafaggi e come i ragni, che non sono nemmeno insetti, a dire il vero. Ma gli insetti, scrive Beatrice Mautino, saranno in qualche modo il nostro futuro; di insetti ci nutriremo, di insetti nutriremo gli altri animali che mangeremo… Ecco, leggete qui:
Giulia mi spiega che se negli Stati Uniti sono in pieno trip proteico e i prodotti addizionati con farina d’insetto iniziano a spopolare, qui in Europa la situazione è diversa e, per esempio, la passata alle larve olandese non sta avendo molto successo. “Funziona molto di più il camioncino che gira per le fiere e distribuisce cartocci di grilli saltati.” E non mi stupisce, perché i grilli sono buoni. Degli insetti che ho assaggiato sono sicuramente i migliori. “Hanno un gusto di crostaceo… come i gamberetti troppo cotti”, mi appunto.
E se ho scelto infine le danze macabre, forse, è perché le ho viste, molte di quelle di cui parla il post. E ho fatto chilometri in automobile, mi sono addentrato in boschi dove non sembrava poterci essere nulla e poi invece c’erano queste chiesette con questi affreschi quasi miracolosi, che parlano di morte come non siamo più abituati. E forse sono soltanto io che riesco a tenere insieme le danze macabre, la tristezza dei poeti e un futuro in cui mangeremo insetti, non lo so, è molto probabile. E vi avevo avvertito, tra l’altro, quindi non mi sento nemmeno in colpa. Anche se il post dice questa cosa qui, a un certo punto, e mi pare molto significativa:
In epoche in cui il linguaggio visivo era quello predominante, si è riusciti a creare delle immagini che sono sopravvissute per arrivare a noi, con la stessa potenza di quel tempo: riusciamo ancora ad essere attratti da queste figurazioni, fatte da mani umili di semplici pittori, il più delle volte, pur essendo la nostra un’epoca in cui il visivo ha una pregnanza assoluta. Probabilmente è cambiato il filtro con cui ci approcciamo ad opere come queste: non le comprendiamo fino in fondo o ne siamo sorpresi con senso di stupore, restando interdetti. La loro vista ci affascina ma ci respinge: comprendiamo il messaggio, perché morituri anche noi, ma non comprendiamo la leggerezza della danza, perché forse in questi secoli abbiamo dimenticato qualcosa.