l’endecasillabo perfetto
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16 Dicembre 2018Il post che ho scelto oggi dice in sostanza che «le biografie di una persona sono tantissime».
Che è una cosa davvero importante da dire, a pensarci sul serio. Che è una cosa che ci dice che non abbiamo una biografia (perché ne abbiamo innumerevoli) e che siamo quindi centomila persone (non una soltanto, e magari proprio nessuna); e che ci dice infine che possiamo raccontare noi stessi agli altri (e gli altri a noi stessi) in talmente tanti modi differenti che l’unica cosa che mantiene davvero significato, in questo caleidoscopico mutarsi delle nostra biografie e autobiografie, è l’atto stesso del raccontare. Niente altro.
Il post che ho pertanto scelto oggi lo ha scritto Ermanno Cavazzoni, che è uno degli scrittori contemporanei che mi piace di più, e a un certo punto dice così:
È istruttivo leggere le biografie che accompagnano il libro di un autore, specie gli autori di fama, e specialmente le biografie in forma di cronologia. Lì l’autore sembra sempre una specie di maniaco, che passa il tempo solo a scrivere libri (nel caso di un cosiddetto scrittore), frequenta scrittori o editori, partecipa a convegni sulla scrittura, insegna scrittura o letteratura, dibatte di libri, incontra occasionalmente una o più scrittrici, scambia con loro lettere sulla scrittura, che saranno preziose per capire i suoi scritti… ma come? io dico, ottant’anni tutti così? mai che si dica che in quel periodo aveva in testa il trasloco e non pensava che al trasloco, e si angosciava per il trasloco; o che in quel periodo faceva le parole crociate perché non gli veniva in mente altro, e notate che questi fatti minori magari hanno più peso sulle scritture di un convegno di critici o di un’assemblea d’avanguardia.
Che è anche questa una cosa che trovo molto importante e vera e sulla quale sarebbe bello che ci soffermassimo un po’, ogni volta che leggiamo un libro. Ma proseguendo, il post di Cavazzoni mi ha proposto un esempio di biografia letteraria un po’ meno convenzionale (scritta da Giorgio Manganelli, così poco convenzionale nel suo raccontarsi) che mi ha fatto sorridere davanti allo schermo, e per questo la propongo anche a voi. Dice così:
Giorgio Manganelli, nato a Milano nel 1922, risiede – sebbene non si possa dire che viva – a Roma. Dal punto di vista sindacale è stato professore ed è giornalista e autore iscritto alla SIAE. Ha scritto saggi e pseudoracconti di cui non mena alcun vanto; di tutto il suo opus, è vanitoso, spesso in modo intollerabile, unicamente dei suoi corsivi; talora li legge da solo, e ride.
E infine, sempre a proposito di queste biografie, a volte pure autobiografie, in cui il senso di tutto sta nell’atto stesso del raccontare una storia che muta la vita che abbiamo vissuto e la fa diventare in qualche modo la vita di tutti, una specie di labirinto foderato di specchi in cui riconosciamo ciò che cercavamo senza però poterlo mai acciuffare, proprio perché la letteratura è un labirinto e le parole sono specchi, non mi pare fuori luogo citare un altro degli artisti contemporanei che io amo di più, che si chiama Nanni Moretti e fa il regista e che ha spesso raccontato la sua vita (letteralmente: i fatti suoi) ma lo ha fatto «bucandola» in modo tale che è diventata la nostra vita, per tutti questi anni. Ne ho letto un profilo secondo me ben fatto da Alice Oliveri su questo sito. Ve lo propongo; se non conoscete Nanni Moretti o se aveste voglia di conoscerlo un po’ di più, potrebbe essere un buon inizio. E come esempio vi posso citare questo bel passaggio:
A correre in soccorso alla fazione anti-morettiana, di solito, è la frase ipse dixit di Dino Risi che agli inizi del 2000 lanciò una terribile frecciatina al regista dicendo che i suoi film li avrebbe pure visti, se solo Nanni si fosse spostato da davanti alla telecamera per lasciarglieli guardare. “Levati di mezzo e facci vedere un po’ il film” è il commento del maestro della commedia all’italiana a La stanza del figlio, e chi come Risi condivide questa insostenibile antipatia nei confronti del regista di Monteverde Vecchio si sfrega le mani compiaciuto ogni volta che può giocarsela per legittimare il suo disprezzo – del resto, se lo dice il maestro, come dargli torto?
Ma anche oggi non posso finire senza la poesia. E anche oggi la poesia sarà di Guido Gozzano, un altro che mi è impossibile smettere di amare. C’è uno splendido ritratto autobiografico tra i versi del poeta torinese, talmente bello che può essere assunto come paradigma delle biografie di qualsiasi poeta del Novecento, secondo me. Si intitola Totò Merumeni (titolo emblematico e meraviglioso e assai letterario, titolo bellissimo) e finisce così (ma vi consiglio di leggere anche tutto l’inizio, altrimenti si perde molto della sua bellezza):
Perchè la voce è poca, e l’arte prediletta immensa,
perchè il Tempo – mentre ch’io parlo! – va,
Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta.
E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.