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un debole parere

«Quand’è così, il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né eroi, né statue da erigere, né pietre per abbatterle».

Ha risposto così (meglio di così) recentemente, un mio amico, su un noto social network, a proposito del planetario dibattito sulle statue e sull’opportunità o meno di abbatterle. Ha risposto così parafrasando (meglio di così) una risposta che molti di voi avranno già riconosciuto: viene dal quinto capitolo dei Promessi sposi e Alessandro Manzoni la fa pronunciare a frate Cristoforo, a casa di don Rodrigo, senza paura di don Rodrigo, a proposito di sfide, messaggeri e bastonate che si debbano o meno dare ai messaggeri.

Ed è anche il mio debole parere, se proprio ci tenete a saperlo. Lo stesso di frate Cristoforo e lo stesso di questo amico che ha ben parafrasato Manzoni, in un contesto che pare diverso ma non lo è. Anche per questo trovo opportuno stamattina citare il post che ha scritto Luca Sofri, a proposito di questo tema, che mi sembra equilibrato e ben calibrato (lo trovate qui), ben più delle tante altre cose che ho letto in giro in questi giorni. Il quale post inizia così, per esempio:

Quando qualcuno decide che qualcun altro meriti una statua, fa un’operazione di enorme semplificazione: decide cioè di prendere la complessità e varietà di una vita piena di accadimenti, sfumature, contraddizioni, cambiamenti, che a loro volta saranno analizzati, giudicati, considerati in modi diversi al cambiare dei tempi, e farne un tutto sommato piccolo oggetto statico e rigido dal significato astratto per celebrare uno o qualcuno di tutti quegli aspetti parziali. Ovvero di farne un simbolo, che per definizione è un simbolo, come il tricolore lo è per la millenaria storia dei popoli di una enorme penisola, o il pallino in alto lo è per la temperatura, eccetera. I simboli servono a indicare rapidamente e facilmente una cosa: sono un sacrificio, un compromesso, una scorciatoia.

Ecco: un simbolo, un’allegoria, una figura. Come i personaggi di Dante, mi è subito venuto in mente (ed è così, continuo a pensarlo): come i personaggi di Dante che vengono apposta ridotti a un singolo gesto, addirittura a una singola parola, e per quello condannati o assolti, a quello contratti per l’eternità. Perché sono figure allegoriche, mentre la vita è più complessa, più articolata, non si lascia semplificare così facilmente. Ed ecco quindi il paragone con i voti scolastici (nessun punteggio potrà mai riassumere il vostro percorso scolastico, lo sapete bene, amati studenti, quante volte ve l’ho detto…), che Luca Sofri fa immediatamente, e anche, insieme ai voti e alla scuola, questo appunto importante:

Insomma, le statue non sono del tutto inutili: raccontano e tramandano delle informazioni e dei messaggi, a patto che siamo consapevoli che sono informazioni e messaggi limitatissimi e superficiali. Se le facciamo diventare persone, vite, storie, prendono complessità che non possono conoscere sintesi e giudizi unici: non si può fare una “classifica delle persone” che stabilisca in termini assoluti e schematici – fuori dai meccanismi di simpatia e affinità soggettivi – chi sia da statua e chi no. […] Le vite, sono un’altra cosa.

Lo sappiamo, infatti. Sono un’altra cosa, le vite (e perdoniamo a Sofri anche il vezzo di quella virgola che si porta dietro da così tanto tempo [le cose, non cambiano così tanto], simbolo anch’essa, la virgola, di chissà cosa). I monumenti sono superficiali, le vite umane non lo sono mai. E vale quindi la pena leggere anche questo meraviglioso passaggio, sempre a proposito di statue, che riporta oggi Paolo Nori, citando un bellissimo libro di Kapuściński, in cui si trova questa intervista:

Da anni e anni il giovane scià non faceva che erigere statue in onore suo e del padre, per cui ce n’era un bel po’ da abbattere. D. Le ha abbattute tutte?  R. Sì, non è stato difficile. Al rientro dello scià dopo il colpo di stato non c’era più un solo monumento a Pahlavi. Ma lui cominciò immediatamente a farne eriger dei nuovi, a se stesso e al padre. D. Vuol dire che voi li tiravate giù, lui li ricostruiva, voi li tiravate giù di nuovo e via di seguito? R. Sì, proprio così. Roba da far cascare le braccia. Ne distruggevamo uno, e lui ne costruiva tre; ne distruggevano tre, e lui ne tirava su dieci. Non se ne veniva mai a capo…

E proseguite (la trovate qui), non ve ne pentirete. Anzi forse scoprirete insieme a me che distruggere statue è come erigere statue, un lavoro complicato, difficile, ci vuole tempo e pazienza, ci vuole una vita di studio, ci vogliono tante vite di studio, ci vuole fatica, determinazione, ci vuole la sua bella preparazione. E forse è proprio vero che non se ne viene mai capo, come candidamente confessa il distruttore di statue dello scià. Ne distruggiamo una, ne costruiamo un’altra, che qualcun altro tra qualche tempo distruggerà indignato, per costruirne un’altra ancora che noi distruggeremo e così via. E forse era già tutto nel debole parere di frate Cristoforo, quello sulle sfide e le bastonate. Il quale però era un santo, troppo più in alto di noi, e ci sarà senz’altro, da qualche parte sul lago di Como, una statua dedicata a anche a lui, potete scommetterci.

Davide Profumo
Davide Profumo
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