Colesterolo LDL e riduzione della mortalità cardiovascolare
30 Agosto 2018rileggere
4 Settembre 2018Una parte di me crede che abbia ragione Daniele Barbieri, per quello che ha scritto in questo post sulla poesia e, più nello specifico, su noi che leggiamo e spieghiamo la poesia. Una parte consistente di me pensa che sia vero che non capiamo la poesia, che non sappiamo leggerla e che per questo la spieghiamo male, che forse – direttamente – dovremmo smettere di spiegarla e abbandonarla a se stessa, che faremmo meno male a lei lasciandola naufragare (e il verbo non è casuale, ovviamente). Che sarebbe un gesto d’amore assai più sincero di tante altre dichiarazioni.
È per questo che mi ha molto colpito l’incipit di questo post di Daniele Barbieri, che ho poi letto fino alla fine e che ha continuato a piacermi, anche se non l’ho condiviso del tutto. Dice così, l’incipit:
Non è vero che i cosiddetti contenuti non hanno alcun valore in poesia. Ma l’errore opposto a questo è peggiore e molto più diffuso. Nelle nostre scuole si studia il Pessimismo Leopardiano e pure quello di Eugenio Montale. Nei testi critici i poeti vengono presentati come filosofi (minori) che si esprimono in versi. Tutto il discorso critico si concentra su quello che nei loro versi viene detto.
E poi prosegue così:
Più volte mi sono ritrovato a pensare che amo Leopardi nonostante il suo pulcioso pessimismo, che adoro Montale nonostante la sua retorica del male di vivere (e quella, proprio quella, resta una delle sue poesie più belle, a dispetto del fatto che ne faccia il suo tema esplicito), che imparo a memoria García Lorca benché sia perfettamente consapevole che senza le sue poesie non avrei gran interesse per i gitani andalusi.
Ma poco dopo, trattandosi sempre di Leopardi, mi sono imbattuto in altre parole, proprio leopardiane, e ho compreso che in fondo non è a Daniele Barbieri che continuo a dare ragione ma a Leopardi medesimo, quello giovane, quello pieno di energia che ogni volta mi travolge, quello il cui pessimismo non mi pare nemmeno troppo pulcioso, ma certo non è né cosmico né storico né individuale, poveri noi a cosa lo abbiamo ridotto… Le parole le ha riportate Valentina Foti entro il bel sito che si chiama ClassiCult; e dicono così:
La ragione è nemica d’ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola. Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto più difficilmente sarà grande quanto più sarà dominato dalla ragione: che pochi possono essere grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni. Questo viene che quelle cose che noi chiamiamo grandi, per esempio un’impresa, d’ordinario sono fuori dell’ordine, e consistono in un certo disordine.
Ecco, tutto qui: la poesia sta sul lato della natura e del disordine. Sull’altro lato ci stanno molte altre e bellissime e magnifiche e progressive cose… Ma, a parer mio, anche l’infelicità.