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23 Febbraio 2016Poche ore fa, su uno dei social network che tutti più o meno frequentiamo, con più o meno profitto, un mio collega degno della più alta considerazione ha scritto letteralmente che: «Uno degli svantaggi di essere Umberto Eco, e non il minore, è che, quando muori, tutti quelli che ti coccodrillano sono più stupidi di te».
Ho sorriso. E poi ho pensato che era abbastanza vero e che dunque non era il caso di aggiungersi alla lista dei «tutti» di cui inevitabilmente faccio parte. Per cui, senza che per questo vi manchi qualcosa, ho pensato che sarebbe stato piuttosto il caso di ricordare Umberto Eco con alcune parole da lui stesso scritto, le più belle in cui mi è capitato di imbattermi in queste poche ore trascorse dopo la sua morte. Comincio con un articolo di quasi vent’anni fa, che proprio di morte parlava (si intitola: «Come prepararsi serenamente alla morte», non a caso). È molto bello e ironico e arguto, come sempre, e comincia così:
Non sono sicuro di dire una cosa originale, ma uno dei massimi problemi dell’essere umano è come affrontare la morte. Pare che il problema sia difficile per i non credenti (come affrontare il Nulla che ci attende dopo?) ma le statistiche dicono che la questione imbarazza anche moltissimi credenti, i quali fermamente ritengono che ci sia una vita dopo la morte e tuttavia pensano che la vita della morte sia in se stessa talmente piacevole da ritenere sgradevole abbandonarla; per cui anelano, sì, a raggiungere il coro degli angeli, ma il più tardi possibile.
Recentemente un discepolo pensoso (tale Critone) mi ha chiesto: “Maestro, come si può bene appressarsi alla morte?” Ho risposto che l’unico modo di prepararsi alla morte è convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni…
Poi, visto che sono stato un lettore anche io di Umberto Eco e ho amato i suoi romanzi ma forse ancora di più i suoi saggi [perdonatemi, non mi trattengo: c’è uno splendido saggio su Dante, che Eco scrisse e poi raccolse nella silloge Sugli specchi e altri saggi; è un saggio capace di spiegare con chiarezza mirabile quello decine di commentatori specializzati non hanno saputo fare nemmeno confusamente, e cioè che cosa davvero sia l’allegoria della Commedia di Dante. Io lo consiglio sempre, anche oggi, perché anche quelle sono parole sue, non sono un mio coccodrillo, e penso di poterne essere scusato…], e proprio per questo mi pare bello che qualcuno abbia avuto voglia di pubblicare lo splendido Elogio di Franti, che si trova nel Diario minimo. E che, come molti di voi ricorderanno assai bene, comincia così:
“E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un’altra sezione.”
Così alla pagina di martedì 25 ottobre Enrico introduce ai lettori il personaggio di Franti. Di tutti gli altri è detto qualcosa di più, cosa facesse il padre, in che eccellessero a scuola, come portassero la giacca o si levassero i peluzzi dai panni: ma di Franti niente altro, egli non ha estrazione sociale, caratteristiche fisionomiche o passioni palesi. Tosto e tristo, tale il suo carattere, determinato al principio dell’azione, così che non si debba supporre che gli eventi e le catastrofi lo mutino o lo pongano in relazione dialettica con alcunché.
Franti da Franti non esce; e Franti morirà: “ma Franti dicono che non verrà più perché lo metteranno all’ergastolo”, si scrive il lunedì 6 marzo, e da quel punto, che è a metà del volume, non se ne farà più motto.
Infine, a sancire e insieme a irridere una prassi ultimamente molto in voga, quella dei consigli a giovani scrittori, non riesco a trascurare il perfido elenco di suggerimenti che Umberto Eco ha lasciato a quanti di noi volessero in qualche modo provare a scrivere bene in italiano. Lo ha ripescato Giulio Cavalli, cui sono grato, e comincia così:
- Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
- Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
- Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
- Esprimiti siccome ti nutri.
- Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
- Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
- Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
- Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
- Non generalizzare mai.
- Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
- Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
- I paragoni sono come le frasi fatte.
- Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
- Solo gli stronzi usano parole volgari.
3 Comments
Ben sapendo di essere più stupido di lui, io ho comunque coccodrillato 🙂
Ho letto. E sono stato fino all’ultimo tentato di linkare sia il tuo post sia quello di Leonardo, perché mi parevano due begli esempi di come un intellettuale possa essere ricordato. Poi però ho deciso, contrariamente al mio solito ( 😉 ), di essere sobrio e limitarmi alle sue parole… Però ho conservato i link, che mi verranno buoni.
ah, ma io e Leonardo siamo onfalologi, quindi parliamo di tutto rapportandolo a noi 🙂 L’unico vantaggio che abbiamo sui coccodrilli standard è che cerchiamo un punto di vista diverso, per poter avere un aggancio. Con Eco è stato più facile data la sua poliedricità.