il margine della foresta
13 Giugno 2021essere vivi
20 Giugno 2021Tutti i buoni libri ci insegnano una lingua: magari solo parzialmente, magari soltanto una parola, magari solo un movimento nella costruzione della frase… Ma tutti ci lasciano con una parola in più per parlare e pensare e spiegare noi stessi a noi stessi. Tutti i buoni libri fanno questo: provano a spiegare noi stessi a noi stessi, con parole che non sapevamo; oppure che sapevamo senza averci mai badato.
È uscito da poco il nuovo libro di Emmanuel Carrère, si intitola Yoga e fa esattamente quello che fanno tutti i libri di Carrère (che sono più o meno tutti buoni libri): prendono un personaggio, spesso quello che dice «io», lo mettono al centro della scena, lo nascondono e lo svelano, lo circondano di bugie e di verità, lasciano che si confessi con il cuore in mano mentendo ripetutamente, alla fine ci hanno spiegato (un po’) chi siamo e perché. E ci hanno insegnato qualche parola per dircelo più esattamente. Succede ai grandi scrittori, e Carrère lo è.
Lo spiega bene qui Paolo Landi, che ha letto il libro e ce lo recensisce citando (anche) una bella frase con cui Walter Siti parlava di tutt’altro. Questa frase:
Sul tema dell’autobiografia aveva sollecitato le nostre riflessioni di lettori anche Walter Siti, nell'”avvertenza” a Troppi paradisi (Einaudi, 2006): “Anche in questo romanzo, il personaggio Walter Siti è da considerarsi un personaggio fittizio: la sua è una autobiografia di fatti non accaduti, un facsimile di vita. Gli avvenimenti veri sono immersi in un flusso che li falsifica, la realtà è un progetto, il realismo una tecnica di potere. Come nell’universo mediatico, anche qui più un fatto sembra vero, più si può stare sicuri che non è accaduto in quel modo”.
E poi (sempre Paolo Landi) proponendo una bellissima osservazione di Francesco Orlando, che non conoscevo ma che non smetterò più conoscere, d’ora in avanti. Questa osservazione:
Un insegnante esigente come Francesco Orlando, autore di Per una teoria freudiana della letteratura (Einaudi, 1973) lo rilevava, quando interrogava gli studenti all’esame: “l’equivoco continuo fra il testo di un’opera, la vita del suo autore, la sua fortuna nel tempo, il suo rapporto con l’epoca propria, il suo posto nel sistema letterario” caratterizzava le argomentazioni “degli impreparati”.
Tutti i buoni libri quindi ci spiegano chi siamo e ci insegnano le parole con cui spiegare a noi stessi ciò che siamo; e ci raccontano (se stiamo attenti) che il confine tra realtà e finzione è labile, cambia anche tra gli occhi di uno scrittore e quelli di chi gli sta molto vicino, magari sua moglie, che tre giorni possono anche essere tre mesi, che il tempo è un’intermittenza del cuore e tante altre cose, che altri buoni libri ci hanno già da tempo insegnato a riconoscere. Perché tutti i buoni libri, lo diciamo qui finalmente, sono in effetti una piccola rivoluzione.
Poi ci sono anche gli altri libri, quelli meno buoni. Quelli insegnano poco ma servono comunque: a passare il tempo, a non annoiarsi, a riconoscere per contrasto i libri buoni, a far girare l’economia, a pagare gli editori che possono dedicarsi anche ai libri buoni. Lo scrivo di nuovo oggi, sempre qui, perché mi pare una cosa molto più importante rispetto al poco spazio che le si concede sui siti della grande informazione: a Stradella, alla «Città dei Libri», nel luogo da cui passano tutti i fogli di carta a cui noi affidiamo la nostra crescita culturale e intellettuale, è in corso una vertenza sindacale dura e difficile. I libri ne sono l’oggetto, il valore e l’ostaggio.
Qualche giorno fa un giovane scrittore che si chiama Gabriele Dadati è andato sul posto a vedere cosa succede; e oggi lo racconta sul web, in un altro brevissimo post. Ve lo aggancio qui. Tutti i libri (e il nostro piacere di leggerli) hanno la fatica di qualcuno alle spalle: scrittori, editori, traduttori, redattori, correttori, tipografi, magazzinieri, corrieri, librai, tutti. Dadati lo racconta benissimo, inizia così:
Giovedì, verso l’ora di pranzo, mi ha chiamato Luca Ussia, direttore editoriale di Baldini+Castoldi, la casa editrice che pubblica i miei libri. Voleva dirmi che il prossimo, previsto in uscita il 17 giugno, sarebbe slittato almeno a inizio luglio. “A Stradella è in corso uno sciopero senza precedenti dei lavoratori della logistica”, ha spiegato. “I libri partono da lì al momento del lancio, ma sono a magazzino, prigionieri. Stanno saltando le uscite di tutti gli editori. Finché non si sblocca la situazione la vedo male”. Era dispiaciuto: sapeva le corse fatte per consegnare in tempo.
Non ho letto nessuno dei libri scritti da Gabriele Dadati, lo confesso. Credo che sia il momento di cominciare.