si tratta di accorgersi
8 Aprile 2021scordato strumento
15 Aprile 2021Il primo passo riguarda la follia. Ma non la follia in sé stessa, come condizione teorica, come elemento di una riflessione esistenziale: il primo passo riguarda proprio l’incontro fisico con la follia, con i pazzi, con le parole e i gesti incomprensibili dei matti. «Dove sono i matti?» si chiede Stefano Redaelli in un suo libro di cui si trova un estratto qui. «Perché nessuno frequenta i matti?» si chiede ancora. E si dà una risposta, anche in questo pur breve estratto, una risposta che comincia così:
I matti dicono sempre una verità. Anche quando parlano di persone e cose che noi non vediamo, non sentiamo, che non esistono, proprio allora stanno dicendo una verità. I matti leggono l’anima. Quando ci guardano, non ci si può nascondere. D’un tratto dicono una cosa, magari assurda, non si sa che cosa c’entri eppure ci riguarda, parla di noi. Ci hanno visto. I matti spogliano.
Il secondo passo verso il fuori riguarda la morte e la vita, contemporaneamente: riguarda il coesistere di morte e vita, il nostro pensarle insieme o non pensarle affatto. Riguarda anche l’epidemia in effetti, riguarda la medicina e voi cardiologi, riguarda il passato ed il presente, i giorni che stiamo vivendo. È una storia scritta da Maria Pia Baroncelli (la trovate qui) che comincia con la scena esotica e bellissima di un funerale indiano e finisce con la paura del vaccino, la nostra paura di un particolare vaccino, la nostra cieca, irrazionale, fottuta paura di morire. E che a un certo punto dice così:
Per tutta la vita, guardiamo morire gli altri e solo quando arriverà il nostro turno di affacciarci sul buio sconosciuto della fine dell’attività cerebrale, allora valuteremo la morte come una possibilità reale. Ma prima di quel momento, noi clienti occidentali dell’«Outlet del Funerale» ormai consideriamo la morte come un evento che in fondo non ci riguarda più di tanto e può essere rimandato sine die con buoni medici, un po’ di palestra e un dietologo di fiducia che ci illumini la strada per l’eternità in un mondo senza colesterolo e con la glicemia bassa.
Il terzo e ultimo passo verso l’esterno di questa gabbia letteraria, che mi sono negli anni costruito (con la vostra complicità), è quello di un ciclista che scende dalla bici, un grande campione che ha perso la gara. Perché è vero che non c’è sport che possa essere più letterario del ciclismo, perché è vero che nessuno sport è racconto di se stesso tanto quanto lo è il ciclismo, ma è ancora più vero che nessuna storia sportiva può essere letteraria quanto quella di una sconfitta. Ai vincitori il premio, agli sconfitti (Ettore sotto le mura di Troia) l’eternità del racconto.
Il terzo passo è dunque quello, cigolante di stanchezza, che fece Miguel Indurain nel settembre del 1996, quando scese dalla bicicletta e si dichiarò sconfitto, definitivamente. Lo racconta, in un estratto di un altro libro, Maurizio Crosetti. E all’interno di questo estratto sceglie le parole del più letterario di tutti i cronisti di sport per dire quello che sta succedendo, in quel giorno di un settembre asturiano, nel mezzo di una salita interminabile, a uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi:
«Nel mezzo della corsa, all’improvviso, ti sentirai stranamente solo: come un re in battaglia che, voltandosi indietro per impartire gli ordini, non scorge più il suo esercito, dissoltosi per incantesimo nel nulla. Questo momento terribile verrà. Ma quando?» Lo scrisse Dino Buzzati, all’inseguimento di segni e incubi lungo la strada dei ciclisti. Questo terribile momento verrà.
Erano dunque questi i miei tre passi di oggi fuori dal sentiero letterario che in questi anni si è tracciato, in questo spazio che voi cardiologi mi avete generosamente riservato. Il tentativo di guardare oltre, di vedere qualcos’altro, il tentativo di allungare lo sguardo oltre le sbarre della mia prigione. Ma a ben vedere non è stato così, nemmeno un po’. La follia, la morte, la sconfitta. Questi tre passi sono tre degli ingredienti più ovvi e indispensabili alla poesia, la solita gabbia, le solite sbarre: la sconfitta, la morte e la follia. Insieme, all’amore, naturalmente.