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Terapia NON farmacologica e NON interventistica della fibrillazione atriale

A cura di Claudio Fresco

La fibrillazione atriale sembra essere diventata, dopo l’avvento dei NOAC, l’argomento cardiologico più “hot”. Nel solo 2015, dal primo gennaio al 21 agosto, sono usciti 2791 articoli con le parole “fibrillazione atriale” nel titolo. Nello stesso periodo sono usciti 1578 e 2137 articoli con nel titolo le parole “infarto miocardico” o “scompenso cardiaco”. Per darvi un’altra idea della popolarità dell’argomento voglio dirvi che dal primo gennaio a oggi sono usciti 152 articoli con la parola dabigatran nel titolo. Nello stesso periodo sono invece usciti solo 54 articoli con la parola ticagrelor nel titolo. Il confronto può sembrare stupido, ma dobbiamo ricordarci che i trials registrativi Re-ly e Plato sono stati entrambi presentati praticamente in contemporanea nel settembre 2009.

In questo overflow informativo tuttavia ogni tanto spiccano degli articoli che attirano l’attenzione per quanto si distaccano dalla “routine”. Oggi vi voglio parlare di uno studio condotto in Australia, su una popolazione di pazienti con fibrillazione atriale parossistica o persistente e sovrappeso (definito come BMIsuperiore a 27kg/m2). A questi 355 pazienti è stato offerto di partecipare a un programma di gestione del peso corporeo, comprensivo di counselling dietetico e di attività fisica, gestione dei fattori di rischio etc. I pazienti sono stati seguiti per due anni e i progressi sono stati monitorati nel tempo anche modificando per step successivi il tipo di dieta e di esercizio suggeriti a seconda del grado di successo del programma. L’obiettivo iniziale era quello di far calare il peso corporeo del 10%, quello successivo era di portare in BMI a 25. Durante tutto il follow-up i paziente sono stati sottoposti a ecocardiogrammi e holter seriati.

I risultati sono stati molto sorprendenti e sono riassunti graficamente nella figura 1.

Figura 1

Alla fine dello studio i pazienti sono stati divisi in tre gruppi a seconda del peso perso. Nel gruppo A sono stati inclusi i pazienti che avevano perso almeno il 10% del peso, nel gruppo B quelli che avevano perso dal 3 al 9% del peso e nel gruppo C quelli che avevano perso meno del 3% di peso. I pazienti che sono riusciti a perdere il 10% del peso hanno avuto significativamente meno episodi di FA, e quando hanno avuto la FA questa è stata di più breve durata e meno sintomatica (p<0.001). Inoltre al momento del follow-up finale il 45.5% dei pazienti che avevano perso almeno il 10% del peso corporeo sono risultati liberi dall’aritmia senza farmaci per il controllo del ritmo e senza sottoporsi ad ablazione (Figura 2).

 

Figura 2

Un calo di peso superiore al 10% si è associato con una probabilità di restare liberi dall’aritmia 6 volte superiore rispetto agli altri due gruppi (95%CI 3.4-10.3; p<0.001). Gli autori hanno anche preso in considerazione le modalità in cui il calo di peso è stato ottenuto, dimostrando che i pazienti che hanno avuto un calo lineare di peso durante tutto il follow-up hanno avuto meno recidive rispetto a quelli in cui il peso ha dimostrato fluttuazioni oppure a quelli in cui il peso non è sceso per niente (Figura 3).

 

Figura 3Le fluttuazioni del peso superiori al 5% sembrano cancellare l’effetto benefico del calo di peso, evidenziando un raddoppio del rischio di recidive aritmiche. La conclusione degli autori è che un calo del peso mantenuto nel tempo si associa a una significativa riduzione del rischio di recidive aritmiche e comunque del “burden” della fibrillazione atriale. La figura 3 dimostra graficamente con buona chiarezza i risultati dello studio, e andrebbe diffusa.

Questo studio, presentato ad aprile al congresso dell’Heart Rhythm Society e pubblicato poi su JACC ad agosto 2015, da qualcuno è stato definito come il risultato più sensazionale dell’intero congresso. Nelle dichiarazioni raccolte dopo la presentazione qualche famoso elettrofisiologo è arrivato a dire che d’ora in poi prima di sottoporre ad ablazione delle vene polmonari pazienti sovrappeso pretenderà da loro un adeguato calo ponderale. Nel frattempo quando incontriamo un paziente sovrappeso con FA cerchiamo di non avere riflessi pavloviani concentrando la nostra attenzione solo sulla prevenzione del tromboembolismo o sul trattamento interventistico dell’aritmia, ma cerchiamo di convincerlo a perdere qualche chilo, perché questo calo di peso farà fare più bella figura anche ai nostri interventi.

Commento a: Rajeev K. Pathak, Melissa E. Middeldorp, Megan Meredith, Abhinav B. Mehta, Rajiv Mahajan, Christopher X. Wong, Darragh Twomey, Adrian D. Elliott, Jonathan M. Kalman, Walter P. Abhayaratna, Dennis H. Lau, Prashanthan Sanders, Long-Term Effect of Goal-Directed Weight Management in an Atrial Fibrillation Cohort. JACC 2015 May 26;65(20):2159–69.

 

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Claudio Fresco
Claudio Fresco
Past President. Dipartimento di Scienze Cardiotoraciche Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia” - Udine

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