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1 Luglio 2015
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17 Luglio 2015

Terapia del tromboembolismo venoso: il ruolo di dabigatran

A cura di Raffaella Benedetti e Davide Imberti

SOMMARIO

Il trattamento del tromboembolismo venoso (TEV) sino a qualche anno fa si è basato sull’utilizzo di tradizionali farmaci anticoagulanti (eparina a basso peso molecolare, eparina non frazionata, fondaparinux e antagonisti della vitamina K) di provata efficacia ma gravati da limitazioni che ne possono condizionare significativamente l’utilizzo in molti contesti.

L’arrivo dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) ha aperto interessanti prospettive nella terapia del TEV.

Il dabigatran, un inibitore selettivo e diretto della trombina, è stato il primo tra i NAO a essere studiato nel trattamento del TEV. La facilità di somministrazione del farmaco, la sicurezza e l’efficacia dimostrata dai risultati degli studi RE-COVER, RESONATE e REMEDY, rendono il dabigatran un’attraente alternativa ai tradizionali farmaci anticoagulanti e, superandone alcuni limiti, potrebbe addirittura contribuire a migliorare la compliance al trattamento anticoagulante da parte dei pazienti affetti da patologie tromboemboliche.

 

PREMESSE

Il tromboembolismo venoso (TEV), un processo patologico che può manifestarsi sia come trombosi venosa profonda (TVP) che come embolia polmonare (EP), è una delle principali cause di morte per patologia vascolare e, per quanto la sua incidenza sia sottostimata, ne sono colpite 1-2 persone/1000 nella popolazione generale. (a)

Lo scopo del trattamento farmacologico del TEV è di ridurre la mortalità e le recidive, di evitare lo sviluppo di sindrome post-trombotica e di prevenire l’instaurarsi di ipertensione polmonare cronica tromboembolica.

Nella fase acuta della patologia, quando non sia necessario un trattamento trombolitico, è ormai consolidato l’utilizzo di farmaci anticoagulanti a rapido inizio di azione: eparina non frazionata (ENF), eparina a basso peso molecolare (EBPM), fondaparinux, seguiti dalla somministrazione di antagonisti della vitamina K (AVK) nel lungo termine. Questi farmaci tuttavia presentano numerose limitazioni: somministrazione parenterale per alcuni; risposta non prevedibile in termine di modifica dei parametri coagulativi per altri; necessità di uno stretto monitoraggio laboratoristico e di conseguenti aggiustamenti posologici; numerose interazioni con altri farmaci e con alimenti; ristretta finestra terapeutica (Es: INR = 2-3), con possibilità di complicanze emorragiche o trombotiche secondo il livello di anticoagulazione raggiunto. Inoltre uno stretto monitoraggio di laboratorio nel trattamento anticoagulante a lungo termine può essere di difficile attuazione in alcune categorie di pazienti.

I nuovi anticoagulanti orali sono molecole sviluppate e ampiamente sperimentate con lo scopo di superare almeno alcune di queste limitazioni del trattamento anticoagulante.

Il dabigatran è un inibitore diretto e selettivo della trombina, viene somministrato per via orale a dose fissa e non necessita di monitoraggio di laboratorio. È un pro farmaco che viene rapidamente convertito nella forma attiva; dopo l’assorbimento, l’inizio di azione è rapido (1-2 ore); l’escrezione avviene prevalentemente per via renale (80%); l’emivita è di 12-17 ore, ma può essere più lunga in caso di insufficienza renale. Il dabigatran si lega scarsamente alle proteine circolanti e ciò consente la sua rapida rimozione dal circolo mediante dialisi. (b)

Dabigatran ha un’efficacia e una sicurezza sovrapponibili a enoxaparina nella profilassi del TEV in pazienti sottoposti a chirurgia elettiva di anca e di ginocchio; sono stati inoltre pubblicati i risultati di quattro studi di fase III, in cui dabigatran è stato utilizzato nel trattamento del TEV (Tabella 1 e Tabella 2).

 

Tabella 1

                        Tabella 1: dabigatran nel trattamento del TEV: studi clinici di fase III

 

 

Tabella 2

      Tabella 2: principali risultati degli studi con dabigatran nel tromboembolismo venoso

 

 

Il trattamento della fase acuta del TEV (studi RECOVER e RECOVER II)

Lo studio RECOVER (c) è stato disegnato con l’obiettivo di dimostrare la non inferiorità di dabigatran rispetto alla terapia standard con warfarin in termini di incidenza a sei mesi di recidiva sintomatica di TEV e mortalità secondaria a embolia polmonare.

In questo studio, 2539 pazienti con EP e/o TVP sono stati randomizzati a ricevere dabigatran (150 mg bid) oppure warfarin (con un INR compreso tra 2 e 3) per sei mesi, dopo una fase iniziale (della durata media di nove giorni) di terapia anticoagulante per via parenterale (eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare oppure fondaparinux).

Il tasso di recidive sintomatiche di TEV (con conferma diagnostica oggettiva) e di embolie polmonari fatali è stata del 2.1 % nei pazienti trattati con terapia tradizionale e del 2.4% in quelli trattati con dabigatran (p<0.001 per la non-inferiorità). L’incidenza di complicanze emorragiche maggiori è stata del tutto sovrapponibile nei due gruppi (1.9% nei pazienti trattati con warfarin; 1.6% nel gruppo trattato con dabigatran: hazard ratio 0.82, 95% CI 0.45-1.48); più in dettaglio nel gruppo di trattamento con dabigatran si sono verificate meno emorragie intracraniche rispetto a quanto avviene nel gruppo trattato con warfarin (0 vs 3 eventi); mentre la sede di maggior sanguinamento di dabigatran rispetto a warfarin è quella gastroenterica. Andando inoltre a sommare le emorragie maggiori e quelle non maggiori ma clinicamente rilevanti (NMCR), il risultato è un più elevato numero di eventi nel gruppo trattato con warfarin rispetto a quello trattato con dabigatran (8.8% versus 6.5%, rispettivamente; p=0.002). Nel complesso quindi dabigatran dimostra l’equivalenza con warfarin quanto a efficacia in assenza di aumentati eventi di emorragia maggiore e di emorragia non maggiore ma clinicamente rilevante, in particolare a sede intracranica.

In considerazione del ridotto numero di recidive tromboemboliche registrate nel corso dello studio RECOVER, al fine di ampliare la casistica e di ottenere una più solida conferma statistica dei risultati già ottenuti, è stato iniziato un nuovo studio (RECOVER II) (d) con lo stesso disegno sperimentale e i medesimi end-points del RECOVER, che ha incluso una popolazione di 2568 pazienti, con un maggior numero di soggetti asiatici rispetto a quella del primo studio (20% vs 3%). Anche nel RECOVER II il dabigatran ha dimostrato la non inferiorità rispetto al warfarin in termini di efficacia (ricorrenza di eventi tromboembolici fatali e non fatali: 2.4% vs 2.2%; p<0.0001 per la non-inferiorità) con un trend più favorevole negli end points di sicurezza (emorragie maggiori: dabigatran 1.1% versus warfarin 1.7%, HR 0.69) sebbene in assenza di differenze statisticamente significative.

È stata quindi effettuata l’analisi dei dati combinati dei due studi. L’Hazard Ratio (HR) per la ricorrenza di TEV è 1.09 per dabigatran rispetto a warfarin (2.4 vs 2.2 rispettivamente), confermando la sovrapponibilità tra i due trattamenti in termini di efficacia. Riguardo ai dati di sicurezza, i pazienti trattati con dabigatran rispetto a quelli trattati con warfarin, presentano un minor numero di emorragie totali (16.1% vs 22%, HR0.70); la differenza è confermata anche analizzando separatamente sia le emorragie maggiori (1.4 % vs 2.0%, HR 0.73) che quelle non maggiori ma clinicamente significative (5.3% vs 8.5%, HR 0.62). La riduzione di eventi emorragici nel gruppo dabigatran risulta influenzata dall’età con il maggior beneficio per dabigatran nei soggetti di età inferiore agli 85 anni, i risultati del trattamento non sono invece influenzati da altri elementi quali il sesso, l’etnia, il body mass index, la clearance della creatinina, la storia di un precedente evento tromboembolico venoso, il trattamento concomitante con inibitori del gPi, acido acetilsalicilico o FANS.

Quando si valutino gli eventi del solo periodo di trattamento orale, escludendo cioè dall’analisi le complicanze della fase acuta in corso di terapia eparinica, il beneficio dall’uso di dabigatran in termini di riduzione di eventi emorragici diventa ancora più evidente (tutte le emorragie 14.4% vs 20.4%, HR 0.67; emorragie maggiori: 1% vs 1.6 %, HR 0.60; emorragie NMCR: 4.4% vs 7.7%, HR 0.56).

Complessivamente i risultati di questi studi hanno quindi dimostrato che, nel trattamento del tromboembolismo venoso, il dabigatran somministrato alla dose fissa di 150 mg bid ha un’efficacia almeno sovrapponibile a quella del warfarin con un simile profilo di sicurezza.

 

Il trattamento della fase prolungata del TEV (studi REMEDY e RESONATE)

Il dabigatran è stato testato anche nel trattamento prolungato della TVP e dell’EP dopo una fase iniziale di terapia anticoagulante di almeno tre mesi; il confronto è stato fatto sia con il placebo (studio RE-SONATE) che, unico tra i nuovi anticoagulanti orali, con il warfarin (RE-MEDY). (e) L’end-point primario di efficacia di entrambi gli studi era la sommatoria di TEV sintomatico ed embolia polmonare fatale.

Il RE-MEDY è uno studio clinico di fase III che ha confrontato dabigatran alla dose di 150 mg bid con warfarin (con un INR compreso tra 2 e 3) per la prevenzione secondaria del TEV nel lungo termine, ovvero per un periodo di 18-36 mesi dopo i primi 3-12 mesi di terapia anticoagulante tradizionale per un episodio acuto di TEV sintomatico.

Lo studio RE-MEDY, disegnato per dimostrare la non-inferiorità del dabigatran, ha arruolato in totale 2856 pazienti; la recidiva di TEV si è verificata nel 1.8% dei pazienti in terapia con dabigatran e nel 1.3% dei pazienti in terapia con warfarin (p=0.03 per il margine pre-specificato di non-inferiorità).

Gli outcomes di sicurezza comprendevano le complicanze emorragiche, gli eventi coronarici e i rimanenti eventi avversi. Le emorragie maggiori registrate nel gruppo trattato con dabigatran sono state inferiori (0.9%) rispetto a quelle nel gruppo trattato con warfarin (1.8%), anche se la differenza non ha raggiunto la significatività statistica (p=0.06). La sommatoria delle emorragie maggiori e di quelle non maggiori ma clinicamente rilevanti è risultata invece statisticamente più elevata nel gruppo trattato con warfarin rispetto a quello trattato con dabigatran (10.2% versus 5.6%, rispettivamente; p<0.001). Il trattamento con dabigatran infine si è associato a un rischio aumentato di eventi coronarici rispetto al warfarin (0.9% versus 0.2%, rispettivamente; p=0.02).

Nel RE-SONATE sono stati arruolati 1343 pazienti randomizzati a ricevere dabigatran, al dosaggio di 150 mg bid, o placebo dopo un periodo iniziale di 6-18 mesi di terapia anticoagulante tradizionale per un episodio acuto di TEV.

Le recidive di TEV si sono registrate nello 0.4% e 5.6% dei pazienti rispettivamente in terapia con dabigatran e con placebo (HR 0.08; 95% confidence interval [CI] 0.02-0.25; p<0.0001 per la superiorità). Non è stata riportata alcuna differenza tra i due gruppi per quanto riguarda l’incidenza delle emorragie maggiori (0.3% dabigatran versus 0% placebo, rispettivamente; p=1.0); al contrario la sommatoria di emorragie maggiori e clinicamente rilevanti ma non maggiori è risultata più elevata nel gruppo trattato con dabigatran rispetto al placebo (5.3% versus 1.8%, rispettivamente; p=0.001).

In conclusione, gli studi RE-MEDY e RE-SONATE nel trattamento prolungato del TEV, hanno dimostrato che dabigatran:

 

  • è equivalente al warfarin e superiore al placebo nel ridurre le recidive tromboemboliche;
  • non determina un aumento degli eventi emorragici maggiori rispetto a warfarin ma soprattutto anche rispetto al placebo;
  • correla con una quota di emorragie maggiori + emorragie non maggiori ma clinicamente rilevanti che è superiore rispetto al placebo ma significativamente inferiore rispetto al warfarin.

 

Per tali motivi, dabigatran si dimostra un’opportunità di scelta sicura ed efficace anche nel trattamento prolungato del TEV offrendo benefici di maggior efficacia rispetto al placebo e di maggior sicurezza rispetto a warfarin.

In conclusione, l’introduzione di questo nuovo anticoagulante orale arricchirà, in un prossimo futuro, le possibili opzioni di scelta tra vari farmaci anticoagulanti nel trattamento sia della fase acuta che di quella prolungata ed estensiva del TEV e consentirà di ottimizzare tale trattamento in base alle esigenze e alle caratteristiche cliniche del singolo paziente nell’ottica di una migliore compliance e di migliori risultati complessivi.

 

 

Note:

(a) Spencer FA, Emery C, Lessard D, et al. The Worcester Venous Thromboembolism

study: a population-based study of the clinical epidemiology of venous thromboembolism. J Gen Intern Med 2006;21:722-7.

(b) Stangier J. Clinical pharmacokinetics and pharmacodynamics of the oral direct thrombin inhibitor dabigatran etexilate. Clin Pharmacokinet 2008;47:285-295.

(c) Schulman S, Kearon C, Kakkar AK, et al. Dabigatran versus warfarin in the treatment of acute venous thromboembolism. N Engl J Med 2009;361:2342-2352.

(d) Schulman S, Kakkar AK, Goldhaber SZ, et al. Treatment of acute venous thromboembolism with dabbigatran or warfarin and pooled analysis. Circulation 2014 Feb 18;129(7):764-72.

(e) Schulman S, Kearon C, Kakkar AK, Schellong S, Eriksson H, Baanstra D, Kvamme AM, Friedman J, Mismetti P, Goldhaber SZ; RE-MEDY Trial Investigators; RE-SONATE Trial Investigators. Extended use of dabigatran, warfarin, or placebo in venous thromboembolism. N Engl J Med. 2013 Feb 21;368(8):709-18.

 

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Raffaella Benedetti
Raffaella Benedetti
Responsabile Struttura Semplice “Emostasi e trombosi” Medicina Interna - Ospedale G. da Saliceto, Piacenza