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Terapia antiaggregante piastrinica nel paziente anziano con sindrome coronarica acuta

Terapia antiaggregante piastrinica nel paziente anziano con sindrome coronarica acuta

Stefano Savonitto

I pazienti di età >75 anni rappresentano oltre il 30% di quelli ammessi nelle UTIC con sindromi coronariche acute (SCA), e particolarmente elevata è la loro presenza nella popolazione senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTE). Ciò nonostante, come mostrato nella Figura 1, essi sono sottorappresentati nei trial clinici che forgiano le raccomandazioni delle Linee Guida [1,2], sia in termini di strategie terapeutiche (approccio invasivo vs conservativo) che per quanto riguarda la valutazione di farmaci innovativi.
In termini di strategia, è raccomandato e crescente l’ impiego di un approccio sistematicamente invasivo in tutto lo spettro delle SCA, in maniera indipendente dall’ età del paziente. Le dimostrazioni di un vantaggio dell’ angioplastica primaria nel paziente anziano con STEMI sono recenti [3], come pure le evidenze di un beneficio addirittura preferenziale nel paziente anziano di una strategia precocemente invasiva nella SCANSTE [4,5]. Ciò tuttavia comporta un impiego maggiore di potenti farmaci antipiastrinici in fase acuta e della duplice terapia antiaggregante piastrinica nel follow-up.
FIG 1 SAVONITTO
Figura 1 Confronto delle età medie osservate nei pazienti con SCANSTE e STEMI ricoverati nelle UTIC italiane (dati del Registro BLITZ 4, Olivari Z, et al. Eur Heart J ACVC 2012;1:143-52) con quelli dei principali trial che hanno generato le raccomandazioni delle Linee Guida. Da Savonitto S, Sindromi Coronariche Acute, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2013, seconda edizione.
Evidenze su efficacia e sicurezza delle terapie antipiastriniche nel paziente anziano
A fronte di importanti peculiarità nell’ assorbimento, distribuzione, metabolismo e propensione a sviluppare effetti dannosi dei farmaci nel paziente anziano [6], le evidenze del rapporto rischio/beneficio dei farmaci antipiastrinici in questi pazienti sono scarse.
Nella metanalisi dell’ Anti Thrombotic Trialists’ collaboration [7], l’ impiego di aspirina in profilassi secondaria ha dimostrato un beneficio qualitativamente simile, ma quantitativamente maggiore nei pazienti anziani rispetto a quelli più giovani, con una riduzione di eventi di circa 20% nel follow-up. La somministrazione di basse dosi di aspirina (75-100 mg), dopo una dose iniziale di 325 mg, è particolarmente indicata nel paziente anziano. Tuttavia, anche queste dosi di aspirina espongono a un eccesso di sanguinamento, rispetto ai controlli, che aumenta con l’ età e con l’ anamnesi di ulcera peptica [8]. Per tale motivo, l’ utilizzo di aspirina in prevenzione primaria non è raccomandata nel paziente anziano, per il sospetto (in assenza di dati specifici) che l’ eccesso di sanguinamento, anche fatale, possa controbilanciare la modesta (in assoluto) riduzione di eventi cardiovascolari. L’ associazione di inibitori della pompa protonica è fortemente raccomandata nei pazienti di età maggiore di 60 anni con storia di ulcera peptica [9].
Per quanto riguarda la duplice terapia antipiastrinica in pazienti con SCA, bisogna rifarsi ai dati dello studio CURE [10], in cui l’ aggiunta di clopidogrel ad aspirina dopo SCANSTE ha ridotto del 20% il rischio di eventi cardiovascolari, aumentando del 38% il rischio di sanguinamenti maggiori. In termini di rischio relativo, la riduzione è stata inferiore nei pazienti di età >65 anni in confronto a quella osservata nei pazienti più giovani (13% vs 29%).
L’ effetto clinico di prasugrel vs clopidogrel nello studio TRITON-TIMI 38 [11] è stato simile a quello dimostrato da clopidogrel vs aspirina nello studio CURE: una riduzione del 19% del rischio di eventi ischemici in pazienti con SCA trattati con angioplastica, a fronte di un aumento del 32% del rischio di sanguinamento maggiore. Tuttavia, nei pazienti di età >75 anni, non si è osservata una riduzione significativa di eventi ischemici, a fronte di un aumento di sanguinamento maggiore, in particolare di quello fatale. Il timing dei sanguinamenti non è tanto acuto (dose da carico di 60 mg), pur in associazione ad altre potenti terapie antitrombotiche tipiche della fase acuta, quanto nel follow-up, ed è soprattutto a carico del tubo gastroenterico: come detto sopra a proposito dell’ aspirina, tale evenienza è particolarmente temibile nel paziente anziano. Per tale motivo, l’ impiego di prasugrel nei pazienti anziani, per lo meno alla dose di 10 mg impiegata nello studio TRITON-TIMI 38, non è attualmente raccomandata, e l’ indicazione ad impiegare dosi di 5 mg, laddove ritenuto utile, non è basata su evidenze cliniche sperimentali. Complessivamente per quanto riguarda prasugrel, si ha a che fare con un farmaco con spettro d’ azione simile, ma più potente e prevedibile (minore variabilità d’ effetto in relazione ad assetto genetico degli enzimi metabolici), rispetto a clopidogrel, essendo pressoché lo stesso il metabolita attivo.
Ticagrelor è un inibitore del recettore P2Y12 completamente innovativo, non essendo una tienopiridina (a differenza di clopidogrel e prasugrel), non essendo un pro farmaco (pur avendo metaboliti attivi), ed avendo effetti off-target di ignoto significato clinico, ma associati ad effetti collaterali, peraltro non gravi. Rispetto a clopidogrel, nello studio PLATO [12] ticagrelor ha mostrato una riduzione del 16% del rischio di eventi ischemici nel follow up in un ampio spettro di pazienti con SCA, a fronte di un aumento del 25% dei sanguinamenti maggiori non associati a bypass aortocoronarico [13]. Nei pazienti di età >75 anni, il beneficio in termini di eventi ischemici è stato relativamente minore (pur se statisticamente in linea) di quello osservato nei pazienti più giovani, anche in questo caso con un eccesso di eventi emorragici e in particolare un disturbante (+60%) eccesso di ictus [14]. Come si può vedere dalla figura 2, i dati finora pubblicati con prasugrel [11] e ticagrelor [14] in confronto a clopidogrel nei pazienti anziani sono molto simili sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, con la differenza di un eccesso di sanguinamento gastroenterico fatale con prasugrel a fronte di un eccesso di sanguinamento cerebrale fatale osservato con ticagrelor. L’ eccesso di sanguinamento cerebrale fatale osservato con ticagrelor è inatteso, inusuale con i farmaci antipiastrinici, e rimane da essere valutato attentamente negli studi di grandi proporzioni attualmente in corso. Parimenti inattesa è la significativa riduzione di mortalità totale osservata con ticagrelor nella popolazione generale e anche in quella anziana, in cui l’ effetto pare particolarmente importante, ancorchè non spiegato (9.8% vs 12.4%, HR aggiustato 0.77, IC 95% 0.60-0.98) [12,14].
Per quanto riguarda gli anti GPIIb/IIIa, dati di metanalisi dimostrano una ridotta efficacia di questi farmaci nei pazienti anziani con SCA, con un importante eccesso di sanguinamenti [6,15].  In termini di efficacia, le ragioni di questa tendenza possono risiedere nell’ intervento tipicamente più tardivo nel paziente anziano con STEMI (e quindi nella minore efficacia anti trombotica degli anti GPIIb/IIIa), come pure nella relativamente minore probabilità di andare incontro a PCI dopo utilizzo upstream nella SCANSTE, eventualità a cui è legato il beneficio degli anti GPIIb/IIIa. Tuttavia, anche i dati dello studio ISAR-REACT 2, che hanno mostrato un chiaro beneficio dall’ impiego di abciximab in pazienti con SCANSTE sottoposti a PCI, limitano questa efficacia ai pazienti di età inferiore ai 70 anni.

Tra i farmaci con attività antipiastrinica di recente sperimentazione, l’ inibitore del recettore piastrinico per la trombina PAR-1, vorapaxar, ha dimostrato di ridurre il rischio di eventi ischemici in prevenzione secondaria [18], ma non nel trattamento delle SCA [19]: in entrambi i casi, il rischio emorragico (incluso cerebrale) appare però proibitivo per l’ impiego nei pazienti anziani. Di potenziale interesse invece l’ impiego periprocedurale per via endovenosa dell’ inibitore P2Y12 a brevissima durata d’ azione, cangrelor, che nello studio CHAMPION PHOENIX [20] ha dimostrato di ridurre significativamente gli eventi ischemici dopo angioplastica coronarica, senza aumentare il rischio di sanguinamento, con rapporto rischio/beneficio particolarmente favorevole nei pazienti anziani.
FIG.2 SAVONITTO
 
Figura 2 Incidenza dell’ endpoint primario (morte cardiovascolare + infarto + ictus) e di sanguinamento maggiore alla fine del follow up nei pazienti di età >75 anni arruoati negli studi PLATO [14] e TRITON-TIMI 38 [11]. Da notare che la lunghezza di follow up è diversa nei due studi (mediana 9 mesi in PLATO vs 15 mesi in TRITON-TIMI 38) e le definizioni di sanguinamento maggiore sono diverse. Da Savonitto S, Sindromi Coronariche Acute, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2013, seconda edizione.
 
Studi specifici nei pazienti anziani
Non si scopre nulla di nuovo nel mostrare che i pazienti anziani sono a maggior rischio di eventi acuti e nel follow up di una SCA (ossia, per dirla finemente, che l’ età è il più potente predittore di rischio di morte e sanguinamenti), essendo la letteratura ricca di dati osservazionali al riguardo. E’ invece nuova la dimostrazione che i pazienti anziani sono tra quelli a maggior rischio di eventi ischemici ricorrenti [21] e che, in questi pazienti, gli eventi fatali durante il follow up di una SCA sono in gran maggioranza di tipo ischemico [22]: queste osservazioni stimolano la ricerca prospettica di più efficaci terapie di prevenzione secondaria. E’ pure recente l’ osservazione che i pazienti anziani mantengono una maggiore reattività piastrinica “on-treatment” con clopidogrel [23], come pure che tale “iperreattività” risulta pressoché azzerata sostituendo prasugrel 5 mg alla dose standard di clopidogrel 75 mg [24]. I dati ripetuti di reattività piastrinica raccolti durante lo studio TRILOGY ACS mostrano che nei pazienti di età >75 anni la dose di 5 mg di prasugrel ottiene, e mantiene nel tempo, una inibizione media della aggregazione piastrinica indotta da ADP maggiore di quella ottenibile con clopidogrel 75 mg [25]. A questa più efficiente inibizione piastrinica non è corrisposta, in quello studio, una maggiore incidenza di sanguinamento ma neppure una maggiore efficacia nel ridurre gli eventi ischemici. L’ ipotesi di impiegare dosi ridotte di inibitore del recettore P2Y12 è in studio anche per ticagrelor (in questo caso, 60 mg due volte al dì invece che 90 mg) nello studio PEGASUS-TIMI 54 (NCT01225562) di prevenzione secondaria in pazienti con SCA remota (>1anno – <3anni), di particolare interesse per la popolazione anziana.
Lo studio di maggiori dimensioni specificamente mirato a valutare un possibile miglioramento della terapia antipiastrinica nel paziente anziano con SCA è l’ Elderly ACS 2 trial (NCT01777503), che sta confrontando clopidogrel (300+75 mg) con prasugrel (60+5 mg) in pazienti di età >75 anni con SCA (sia STE che NSTE) sottoposti ad angioplastica coronarica con impianto di stent. In questo contesto specifico, prasugrel si è dimostrato particolarmente efficace nel ridurre gli eventi ischemici e la trombosi di stent. La filosofia di base in questo studio non è l’utilizzo di un farmaco più potente rispetto a clopidogrel, in quanto la dose di 5 mg di prasugrel produce un’ inibizione piastrinica comparabile a quella dei 75 mg di clopidogrel, ma di azzerare la quota di “non responder” alla terapia con clopidogrel, nell’ intento di ridurre il rischio di recidive ischemiche. Lo studio sta arruolando 2000 pazienti in 40 Centri italiani con fine arruolamento stimata nella primavera del 2015. L’ endpoint primario è l’ aggregato di morte, infarto miocardico, ictus e riospedalizzazione per eventi cardiovascolari o sanguinamento entro un anno di follow up (Figura 3).
FIG 3 SAVONITTO
Figura 3 Disegno sperimentale dello studio clinico randomizzato Elderly ACS 2 (NCT01777503)
Triplice terapia antitrombotica 
Pazienti con impianto recente di stent coronarico che abbiano anche un’ indicazione a terapia anticoagulante orale ricevono una duplice terapia antipiastrinica oltre all’ anticoagulante, secondo modalità e tempistiche definite empiricamente [26]. Le Linee Guida ESC sul trattamento della fibrillazione atriale recitano bellamente che “l’ incidenza di sanguinamento in triplice terapia antitrombotica con warfarin, aspirina e clopidogrel è 2.6-4.6% a 30 giorni, aumentando a 7.4%-10.3% a 12 mesi” e considerano tale incidenza un “accettabile rapporto rischio-beneficio” [27]. La probabilità di tale contesto clinico e l’ incidenza di complicanze emorragiche sono verosimilmente maggiori nella popolazione anziana. Il recente trial WOEST [28] inizia a delineare una strada alternativa in cui il solo clopidogrel viene associato all’ antagonista della vitamina K con minore incidenza di complicanze emorragiche rispetto alla terapia triplice che comprenda anche aspirina: tale approccio necessita di validazione in uno studio di più ampie dimensioni. Bisogna tuttavia ricordare che i tre studi che hanno validato l’ impiego di clopidogrel, prasugrel e ticagrelor in pazienti con SCA avevano escluso a priori i pazienti in terapia anticoagulante orale [10-12]. Al momento attuale, in maniera del tutto empirica, l’ unico anti P2Y12 consigliabile in triplice terapia (soprattutto nel paziente anziano) è clopidogrel: cominciano a pervenire segnalazioni di un preoccupante eccesso di sanguinamento se nel triplice cocktail viene incluso un farmaco più potente [29].
Conclusioni
Molti relatori a congressi e molte Linee Guida segnalano l’ assenza di evidenze relative alle strategie terapeutiche e farmacologiche nel paziente anziano in ogni campo della medicina. In cardiologia, le sperimentazioni cliniche coinvolgono spesso decine di migliaia di pazienti, ma sottorappresentano la popolazione anziana rispetto al mondo reale. Le analisi post-hoc di tali studi e  i registri osservazionali si limitano ad osservare la prognosi peggiore del paziente anziano e la maggiore incidenza di eventi iatrogeni che, nel caso della terapia antitrombotica, sono soprattutto rappresentati da complicanze emorragiche. C’è sicuramente uno spazio di miglioramento del rapporto rischio-beneficio delle terapie antipiastriniche in età avanzata, a patto di condurre studi prospettici in questa popolazione. Nella ormai cinquantennale esperienza con le sperimentazioni cliniche randomizzate in Cardiologia è sempre stata questa la strada che ha condotto a significativi passi avanti nel miglioramento della prognosi delle malattie cardiovascolari.
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