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TAO e rischio accettabile della terapia a lungo termine

TAO e rischio accettabile della terapia a lungo termine
Prof. Gualtiero Palareti
U.O. Di Angiologia E Malattie Della Coagulazione “Marino Golinelli”
Azienda Ospedaliera Di Bologna – Policlinico S. Orsola – Malpighi

 

Introduzione
Tra le numerose indicazioni cliniche alla terapia anticoagulante orale (TAO) alcune presuppongono un trattamento indefinito; è questo il caso della profilassi primaria o secondaria delle complicanze tromboemboliche cardiogene in pazienti con fibrillazione atriale o protesi valvolari cardiache meccaniche. Altre invece implicano un trattamento potenzialmente limitato ad un periodo di tempo (di per sé variabile) considerato a un rischio tale di complicanza tromboembolica da giustificare il trattamento stesso. È questo il caso della TAO da somministrare in soggetti che abbiano sofferto di un evento tromboembolico venoso (TEV), indicando con questo termine la trombosi venosa profonda (TVP) e/o l’embolia polmonare (EP). La terapia della TEV, inizialmente con eparina o suoi derivati da embricare poi con la TAO, ha lo scopo di trattare l’episodio acuto per evitare l’accrescimento del trombo e limitare il rischio di EP e, successivamente, quello di ridurre il rischio di recidiva tromboembolica. Le TEV infatti hanno la tendenza a recidivare.

Il rischio di recidiva
Studi epidemiologici hanno consistentemente dimostrato che l’incidenza di recidive è alta durante i primi mesi dopo l’episodio acuto e si riduce fortemente in seguito; tuttavia una certa incidenza di eventi si verifica anche negli anni successivi e a distanza di 10 anni circa il 30% di tutti i soggetti con un primo evento soffriranno di una recidiva. Per un maggior dettaglio circa l’incidenza di recidiva nel tempo si può citare quanto riportato in uno studio recente 1, secondo il quale nel corso del primo anno dopo una TEV ci si aspetta una recidiva nel 7,0% dei casi, nel 2° anno un ulteriore incremento di circa il 5%, e dal 3° al 5° anno un incremento di circa il 3% per ogni anno.

Per quanto riguarda il rischio di recidiva a secondo del tipo di paziente, è noto che il rischio di recidiva è alto nei soggetti che abbiano già sofferto di più eventi tromboembolici, o che sono affetti da cancro, o con sindrome da anticorpi antifosfolipidi. In questi pazienti è convinzione comune che vi sia indicazione per una TAO protratta a tempo indefinito. Al contrario, soggetti che hanno sofferto di TEV scatenata da causa transitoria o con TVP limitata alle vene del polpaccio (cosiddette TVP distali isolate) sono candidati ad un trattamento breve, in genere intorno a 3 mesi. Ancora incerta è invece la durata ottimale della TAO nei soggetti che hanno sofferto di un primo (e unico) episodio di TEV cosiddetta idiopatica. Altre condizioni individuali sono state riscontrate essere associate ad un maggiore rischio di recidiva; in particolare, il sesso maschile, la presentazione come EP invece che come solo TVP, la presenza di condizioni trombofiliche congenite (specie se in forma omozigote o con alterazioni multiple), la persistenza di un residuo trombotico venoso e infine la presenza di alterati livelli di D-dimero misurati dopo la sospensione della TAO 2.

L’efficacia della TAO
L’efficacia della TAO nel prevenire recidive tromboemboliche è davvero straordinariamente alta; la riduzione del rischio è valutata infatti nell’ordine del 90% qualora sia impiegata all’intensità terapeutica standard di 2.0-3.0 INR. L’efficacia è più bassa, intorno al 60% di riduzione del rischio di recidiva, qualora la TAO sia mantenuta ad una intensità minore (1,5-1,9 INR) dopo i primi 3 mesi di terapia standard.

Il rischio emorragico in corso di TAO
Il rischio emorragico durante TAO può essere valutato sulla base di due principali categorie di fattori: a) l’intensità dell’anticoagulazione, e b) alcune caratteristiche dei pazienti stessi. La comparsa di problemi emorragici è possibile a qualsiasi livello di anticoagulazione, anche inferiore a quello terapeutico; spesso tali problemi sono scatenati dalla presenza, dapprima ignota, di fattori locali favorenti l’emorragia. Numerosi studi, tra i quali l’italiano ISCOAT, hanno però dimostrato che l’incidenza di emorragie maggiori e minori aumenta in modo esponenziale per valori di INR superiori a 4.5, e che la scelta di target terapeutici superiori a 2.5 INR si associa ad un incremento del rischio emorragico e di instabilità dei livelli di anticoagulazione dei pazienti. L’età più avanzata è sicuramente un fattore associato ad una più alta incidenza di problemi emorragici, specie maggiori, tra i quali soprattutto l’emorragia intracranica. Uno sforzo clinico e di ricerca rilevante è stato dedicato alla identificazione di criteri idonei a valutare il rischio emorragico individuale nei soggetti che devono iniziare la TAO. Lo “Outpatient Bleeding Risk Index”, messo a punto da Beyth e coll. 3 in soggetti in TAO per problemi di TEV, ha identificato alcuni fattori individuali di rischio la cui valutazione consente di calcolare uno score correlato ad un crescente rischio di emorragie. L’età > a 65 anni, la storia di pregresse emorragia digestiva, un evento cerebrovascolare, la presenza di infarto miocardico recente, una creatinina > 1,5 mg/dl, un’anemia severa, il diabete o la fibrillazione atriale erano tutte condizioni da calcolare con 1 punto ciascuna, più eventi cerebrovascolari meritavano due punti. Score finali di 0, 1-2, o 3 o più erano associati rispettivamente ad un rischio basso, medio o alto. Un lavoro recente di Wells e coll. 4 ha validato il suddetto “Bleeding Index” in una coorte di pazienti in TAO per TEV, ed ha riscontrato che il 4,3% dei pazienti arruolati (95% IC 1,1-11,1%) ricadeva nella fascia di rischio moderato.

Una metanalisi recente 5 ha sottolineato l’impatto clinico di eventi emorragici in corso di TAO in pazienti trattati per TEV. Tra gli oltre 10000 pazienti arruolati nei 33 studi analizzati gli eventi emorragici maggiori sono avvenuti nel 7,22% (IC 7,19-7,24) dei casi; gli intracranici nell’ 1,15% (IC 1,14-1,16) e quelli fatali nell’ 1,31% (IC 1,30-1,32), con un’incidenza di mortalità nei suddetti eventi del 13,4% (IC 9,4%-17-4%). Gli autori calcolano poi il rapporto beneficio/rischio della TAO prolungata oltre i primi 6 mesi dopo un episodio idiopatico di TEV, e concludono che se il rischio di emorragia maggiore individuale è intorno al 4% la mortalità attesa per anno associata alla terapia equivale a quella attesa per recidiva di TEV. Questi dati dimostrano la notevole frequenza di problemi emorragici e la loro gravità in soggetti anticoagulati trattati per TEV e inducono a prestare un’adeguata attenzione ad un prolungamento indiscriminato della TAO e a considerare in tutti i pazienti il rapporto rischi/benefici del trattamento prolungato.

Conclusione
In linea generale si può dire che la TAO dopo un primo episodio di TEV deve proseguire fino a quando a) il suo beneficio (riduzione del rischio di recidiva) supera il rischio delle complicanze emorragiche legate alla terapia stessa, o b) il paziente esprime la sua preferenza di interrompere il trattamento anticoagulante anche in presenza di motivi tali da poter ritenere ancora vantaggioso questo trattamento.
In tutti i casi in cui si intende proseguire la terapia va considerato il possibile rapporto benefici/rischi dei singoli pazienti. Alcuni studi recenti, hanno indicato che è possibile identificare (tramite ad es. Il D-dimero) singoli pazienti con un più elevato rischio di recidiva e che traggono vantaggio dal proseguire la TAO (studio Prolong2). Più difficile appare al momento un’adeguata valutazione prospettica del rischio emorragico individuale. Sono raccomandabili studi clinici in questa direzione.

Bibliografia
1. Hansson PO, Sorbo J, Eriksson H. Recurrent venous thromboembolism after deep vein thrombosis: incidence and risk factors. Arch Intern Med 2000;160:769-74.

2. Palareti G, Cosmi B, Legnani C, et al. D-dimer testing to determine the duration of anticoagulation therapy. N Engl J Med 2006;355:1780-9.

3. Beyth RJ, Quinn LM, Landefeld CS. Prospective evaluation of an index for predicting the risk of major bleeding in outpatients treated with warfarin. Am J Med 1998;105:91-9.

4. Wells PS, Forgie MA, Simms M, et al. The outpatient bleeding risk index: validation of a tool for predicting bleeding rates in patients treated for deep venous thrombosis and pulmonary embolism. Arch Intern Med 2003;163:917-20.

5. Linkins LA, Choi PT, Douketis JD. Clinical impact of bleeding in patients taking oral anticoagulant therapy for venous thromboembolism: a meta-analysis. Ann Intern Med 2003;139:893-900.

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