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19 Settembre 2017A cura di Antonella Potenza
L’associazione rivaroxaban a bassa dose e aspirina sembra essere un approccio efficace per migliorare gli outcome nei pazienti con malattia aterosclerotica (coronaropatia o arteriopatia periferica) stabile.
Questi sono i risultati dello studio multicentrico internazionale COMPASS, recentemente presentati a Barcellona durante il congresso annuale della European Society of Cardiology.
Il trial COMPASS, studio in doppio cieco, randomizzato e controllato, si poneva come endpoint primario quello di determinare se rivaroxaban al dosaggio di 2.5 mg BID in associazione ad aspirina 100 mg, o rivaroxaban da solo al dosaggio di 5 mg BID, potesse ridurre il rischio di infarto, ictus o mortalità cardiovascolare rispetto alla sola aspirina 100 mg nei pazienti affetti da CAD o PAD che non assumessero duplice terapia antiaggregante
Nel disegno dello studio era anche previsto un endpoint primario di sicurezza basato sui criteri modificati dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH), un composito di eventi emorragici fatali, sanguinamenti sintomatici in un organo critico, sanguinamenti in sede chirurgica che richiedessero il re-intervento e sanguinamenti che potessero indurre al ricovero o richiedessero un contatto con il pronto soccorso. Gli endpoint secondari dello studio erano un composito di morte per cause coronariche o cardiovascolari, infarto, ictus ischemico o ischemia dell’arto e la valutazione della mortalità per ogni causa. Il COMPASS ha arruolato circa 27.000 pazienti in oltre 600 centri di 33 Paesi del mondo.
L’associazione rivaroxaban 2,5 mg BID e aspirina rispetto alla sola aspirina comporta una riduzione dell’endpoint primario durante un follow-up medio di 23 mesi (4,1% contro 5,4%; HR 0,76; 95% IC; P < 0,001).
Oltre a ridurre l’incidenza dell’endpoint primario rispetto alla sola aspirina, la combinazione con rivaroxaban ha ridotto in modo significativo anche la mortalità per tutte le cause (3,4% contro 4,1%; HR 0,82; 95% IC: 0,71-0,96; P = 0,01) e gli altri outcome secondari.
La monoterapia con rivaroxaban, invece, non ha mostrato alcun vantaggio rispetto alla sola aspirina; infatti, il trattamento con rivaroxaban 5 mg BID non solo non si è associato ad alcuna riduzione significativa dell’outcome primario (4,9% contro 5,4%; HR 0,90; IC al 95% 0,79-1,03; P = 0,12), ma ha determinato un aumento significativo dei sanguinamenti maggiori (2,8% contro 1,9%; HR 1,51; IC al 95% 1,25-1,84; P < 0,001).
Questi risultati evidenziano un’efficacia e una chiara superiorità della combinazione dei due farmaci rispetto alla sola aspirina riguardo all’outcome primario dello studio, tale da aver giustificato la conclusione anticipata del trial all’inizio di febbraio, a 23 mesi dal suo inizio.
Il miglioramento dell’efficacia ottenuta mediante l’aggiunta di rivaroxaban ha determinato un aumento dei sanguinamenti maggiori (3,1% contro 1,9%; HR 1,70; IC al 95% 1,40-2,05; P < 0,001), ma senza alcuna differenza nei sanguinamenti fatali, nelle emorragie intracraniche o nei sanguinamenti sintomatici in organi critici.
Il beneficio clinico netto (inteso come endpoint combinato che tiene conto sia del beneficio ischemico sia dei sanguinamenti gravi) è risultato, ancora una volta, a favore del braccio rivaroxaban 2.5 BID + aspirina rispetto all’aspirina da sola (4.7% vs 5.9%; HR 0.80; 95% CI: 0.70-0.91; P<0.001).
In conclusione, il trial COMPASS ha dimostrato che la dose vascolare di rivaroxaban (2.5 mg BID) in associazione ad aspirina riduce gli eventi cardiovascolari e la mortalità totale, cardiovascolare e coronarica nei pazienti con CAD stabile e/o PAD, a discapito di un incremento degli eventi emorragici maggiori non fatali.