Reali finzioni
7 Giugno 2014Il medioevo di oggi
12 Giugno 2014C’è forse un particolare motivo per cui a molti dei medici che conosco piace leggere (anche) romanzi gialli? Probabilmente non è un motivo solo, avete ragione. Probabilmente i romanzi gialli rilassano, probabilmente divertono, probabilmente sono anche uno dei modi migliori che abbiamo per raccontare i nostri luoghi, sia quelli comuni sia quelli allegorici, come già tante volte abbiamo ripetuto su queste pagine virtuali (penso naturalmente alla Parigi di Simenon, ma anche alla Sicilia di Camilleri, o all’indimenticabile Barcellona di Vázquez Montalbán).
Ma tra i tanti motivi ce n’è una, io credo, più singolare di tutte, che ha a che fare con Sherlock Holmes, con i divani, con la forma delle orecchie nei dipinti del Rinascimento e addirittura con i sintomi di alcune malattie (come se ogni romanzo giallo fosse in sostanza nient’altro che la storia di una guarigione). Lo spiegò magistralmente, qualche anno fa, Carlo Ginzburg, in un saggio sul «paradigma indiziario» contenuto in uno splendido libro di studi artistici e storici. E oggi, su un bel sito, Elena Franchi fa venire a tutti noi il desiderio di andare a rileggere quel saggio, scrivendo così:
Sherlock Holmes, nell’Avventura della scatola di cartone (1892), indaga sul mistero di due orecchie tagliate e inviate per posta a Miss Susan Cushing. Le orecchie della vittima e quelle della donna presentano caratteristiche estremamente simili: sicuramente appartengono a qualche sua parente stretta. Infatti, come il noto detective spiega al suo fidato assistente Watson: “non esiste parte del corpo umano che offra varianti maggiori di un orecchio. Ciascun orecchio ha caratteristiche sue proprie e differisce da tutti gli altri”.
Sherlock Holmes non è l’unico, alla fine dell’Ottocento, ad attribuire importanza alla forma delle orecchie. Lo faceva anche lo storico dell’arte Giovanni Morelli, che, dall’esame dei più trascurabili dettagli come la forma delle orecchie o delle mani di una figura dipinta, risaliva al nome del pittore che aveva eseguito l’opera. Per Morelli, infatti, gli elementi secondari avrebbero potuto rivelare l’artista in caso di attribuzioni incerte, secondo la convinzione che la personalità di un autore emerge dove lo sforzo personale è meno intenso. Il metodo di Morelli, con la sua attenzione rivolta ai dettagli, può essere accostato al metodo indiziario che circa negli stessi anni Arthur Conan Doyle aveva attribuito alla sua creatura, Sherlock Holmes. (continua qui)