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Specchi (per allodole)

Si è molto parlato in rete, nelle ultime ventiquattro ore, di un documento che dice che gli italiani (non solo loro, ma visti i numeri, soprattutto loro) hanno una percezione della realtà nazionale assai diversa dalla realtà nazionale medesima. Cioè, che noi pensiamo dell’Italia cose che mediamente non sono vere: per esempio, per quanto riguarda la percentuale di immigrati presenti sul suolo nazionale; o, sempre per esempio, per quanto riguarda il numero dei disoccupati (un rapido ma efficace commento lo trovate sul Post).

Se ne è molto (e giustamente) parlato, perché sono dati che ci dicono soprattutto una cosa: che la percezione che abbiamo della realtà è ben più importante della realtà stessa e che il racconto che ci facciamo di noi stessi non è mai lo specchio fedele di ciò che davvero siamo. Nel bene (spesso) ma anche nel male. Naturalmente (è inevitabile) viene subito da chiedersi da cosa dipenda questo racconto così infedele che ci facciamo. Io credo che la prima ragione possa essere la comodità: ci raccontiamo quello che ci fa comodo raccontarci, perché è semplice farlo e perché ci toglie un po’ di problemi interpretativi (è una regola che, ahimè, vale sempre e vale dappertutto). Ma naturalmente il racconto di una realtà nazionale è ben più complesso di quello di una realtà individuale; e ha pertanto a che fare (non poco) anche con la qualità dell’informazione di cui la nostra nazione dispone e con la nostra capacità di sceglierla (l’informazione) e scremarla. Insomma, ha a che fare anche con il nostro grado di istruzione.

Anche per questo mi pare che il documento che ha molto girato in rete in queste ore sia importante e rivelatore: e che finisca per essere uno specchio più fedele di noi di quanto lo siano i racconti che, di noi, ci raccontiamo (comodamente) noi stessi.

Davide Profumo
Davide Profumo
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