regalarsi una collana
8 Ottobre 2015l’irrealtà
13 Ottobre 2015Io lo so che, sotto sotto, le domeniche passate tranquillamente a godervi la prima luce autunnale e gli ultimi venti caldi che ancora giungono dall’ appena trascorsa estate del 2015 non vi piacciono. E che preferite , sotto sotto, un pranzo un po’ nervoso, passato a discutere con i vostri familiari e i vostri amici, magari anche litigando, sicuramente confrontandosi aspramente per poi alzarsi domattina e pensare che sì, dai, vabbè, non è mica così male andare al lavoro…
Per questo oggi, sentendomi molto buono, ho deciso di offrirvi una occasione di dibattito (e speriamo di litigio) davvero ghiottissima, imperdibile e soprattutto, credo io, del tutto inedita. L’ho scovata in rete grazie a un libro che (confesso) non ho ancora letto né comprato ma che sicuramente (prometto) comprerò e (forse) leggerò.
Lo ha scritto un giornalista belga che si chiama David Van Reybrouck e propone una tesi all’apparenza bislacca ma, a ben pensarci, non del tutto trascurabile (la mia fidanzata, peraltro, sostiene la medesima tesi da tre o quattro anni, inascoltata da tutti tranne che da me, che devo tenermela buona…). La tesi è ben presentata in questo articolo di Dario Ronzoni:
Nei momenti di crisi, tutti le invocano a gran voce. Nei momenti di pace, sono elogiate, intoccabili. Le elezioni piacciono a tutti. Sono considerate sinonimo stesso di democrazia. Votare è diritto, per alcuni un dovere (morale) e per molti anche la soluzione indicata per far ripartire la politica, quando si inceppa. Le elezioni sono, addirittura, metro di misura del livello di democrazia di un Paese, soprattutto dove la democrazia è “giovane”. Se si vota, allora si è sulla strada giusta… Ma le cose, in realtà, non stanno così. Il problema delle elezioni – udite udite – sono le elezioni stesse. Non sarebbero più efficaci. E questo avviene perché, in realtà, non sono affatto democratiche. Lo sostiene il giornalista belga David Van Reybrouck nel suo ultimo libro, Contro le elezioni: perché votare non è più democratico, edito in Italia da Feltrinelli. La sua tesi è semplice: le elezioni non vanno più bene, devono essere sostituite da un’altra forma di selezione della classe politica. Lo dimostra (o tenta di farlo) partendo da un assunto semplice, anzi, da un paradosso: nella storia non ci sono mai state così tante democrazie al mondo (si contano 117 democrazie elettive, di cui 90 considerate “effettive”, su un totale di 195 Paesi), ma al tempo stesso mai si era registrata una crisi di fiducia così profonda, sia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni che (fatto nuovo) da parte delle istituzioni e dei politici nei confronti dei cittadini.
Io mi immagino che voi avrete a questo punto lo stesso dubbio che ho avuto io: come si fa a conservare la democrazia se si eliminano le elezioni? La tesi di Van Reybrouck è interessante: sostituirle con un sorteggio. Quello «integrale», che piace parecchio anche ai moviolisti. Il Post ha pubblicato anche un estratto del libro, che pare argomentare efficacemente questa tesi. Ma, se ancora aveste energie e se il dibattito del pranzo in famiglia stentasse a decollare, vi consiglio pure la meravigliosa intervista rilasciata da Van Reybrouck al «Corriere» non molto tempo fa. Se non altro per arrivare a questa domanda e alla pertinente risposta che il giornalista restituisce. La domanda è questa:
Quale competenza potrebbero avere persone chiamate a deliberare per estrazione a sorte?
La risposta:
E perché, quale competenza hanno oggi la maggior parte dei deputati nei nostri Parlamenti? I migliori di loro usano la legittimità offerta dallo status di eletti per chiedere informazioni e consigli agli esperti, e infine decidere a ragion veduta. Niente che non potrebbe fare una persona tirata a sorte. Con il vantaggio fondamentale che i cittadini tirati a sorte sarebbero forse più inclini a dare priorità al bene comune, e non alla propria rielezione.
[Non trascurate, se avete voglia di litigare (magari pure con me), neppure l’articolo tranchant che ha scritto Goffredo Fofi su festival letterari e simili raduni. A me è piaciuto molto e lo condivido dall’inizio alla fine; ma so che potrebbe far innervosire molte persone, anche tra i vostri amici, ed è pertanto anch’esso un’occasione ghiotta di provocazione tra un piatto di lasagna e l’altro. Tra il resto, Fofi scrive anche così:
I festival sono da sempre delle vetrine per la produzione letteraria, cinematografica, teatrale, hanno svolto una loro funzione facendo incontrare lettori e scrittori, spettatori e registi, ma questa funzione, man mano che la società dello spettacolo li investiva e cooptava, l’hanno abbandonata pressoché del tutto scegliendo la grancassa e il mercato, la supinità alle mode, l’intreccio tra la produzione più recente e il turismo. E sempre di più il modello dominante è quello più estremo, Mantova o Cannes. Gli editori hanno bisogno dei festival come ne hanno bisogno i cinematografari, e c’è ancora una massa di persone che non sanno che fare del loro tempo libero (della loro vita) e frequentano i festival per sentirsi anche loro intelligenti e al passo coi tempi (con le proposte più recenti del mercato), c’è ancora (quando si tratta di cinema) una corporazione che deve stare al passo con le novità, vendere e comprare, e che si trascina appresso una massa di piccoli intermediari o semplici parassiti (gli uffici stampa, i giornalisti dei contorni, i critici e sedicenti tali – una categoria che ha perso ogni funzione critica e ogni intelligenza critica –, gli studenti dei Dams, i fanzinari, i blogghisti, gli animatori di altri festival e sagre…)
Ci siamo capiti, insomma…]
2 Comments
Una domanda seria. Concordo fondamentalmente sul fatto che chi viene eletto oggi di competenze politiche ne hanno poche o punte. Però non riesco a capire perché una persona che “vince la lotteria”, cioè viene sorteggiata per fare quattro o cinque anni di mandato, non dovrebbe essere tentata dal raccattare quanto più possibile finché può: né vedo un modo per ridurre il potere dei dirigenti ministeriali che già adesso fanno il bello e il cattivo tempo e in questo modo sarebbero i veri decision maker.
(Per i festival: non sono ancora riuscito a farmi invitare a uno di quelli importanti, aspetta ancora un po’!)
La risposta seria è che sì, non sarebbe garantito nessun tipo di vantaggio. Ed è probabile che una parte dei sorteggiati cercherebbe di accaparrarsi e arraffare il più possibile, finché è in tempo (la natura umana non si sorteggia, ahimè). Però, forse, non si creerebbero quei sistemi incancreniti di malaffare che invece la carriera politica finsice per incentivare (cioè per rendere necessari alla rielezione). Ma è ovviamente una provocazione, più che altro. E magari leggerò il libro davvero, per capire un po’ di più. (Per i festival: ti voglio salvare dalla tentazione, ecco…)