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Sogno e son testo

Oggi, con il vostro permesso e con la miseria della mia bravura, ci concediamo un po’ di letteratura. Partendo da questa riflessione di Roberto Cotroneo, che dice così:

 

La letteratura contemporanea muore di realismo nudo e crudo, senza aggiunte, senza rivisitazioni, senza linguaggi nuovi. La letteratura contemporanea non inventa una lingua, la prende dalla realtà, e neanche inventa la realtà, si nutre di quotidianità; e parla a un pubblico di lettori che vuole leggere per vedere, vuole leggere per sapere, vuole leggere perché in quel momento non ha scelto un film, o una serie televisiva, o un prodotto video, ma ha scelto la scrittura, certo, ma solo per aggiungere effetti speciali a un’idea del mondo alterata, ideologica e ben studiata.

Il racconto della letteratura … è tutto qui. È tutto in quel non sapere, in quello stupore, in quel sorprendersi delle proprie storie e della loro genesi. È tutto nella sorpresa di uno scrittore quando si accorge che il suo vero lavoro non è andare incontro ai lettori, ma è fare in modo che siano i lettori ad andare incontro a lui.

 

Io non so se amo molto Roberto Cotroneo (anzi, lo so: non lo amo affatto). Però c’è senz’altro del vero in queste sue frasi e c’è molta materia di riflessione in quello che ieri ha scritto. Così come mi intriga e mi incuriosisce (e a dire il vero mi fa pensare a quanto il concetto di parodia mi sia finora sfuggito) anche questo bell’articolo di Guido Vitiello che descrive la letteratura contemporanea (anche) così:

 

Parodie di scrittori che ronzano intorno a parodie di premi letterari o si accalorano senz’ombra di ironia per parodie di polemiche (cos’altro era, l’affaire Cordelli?). Riviste che sono fin dal nome replicanti di riviste estinte […]. Critici-baccelloni che compilano serissime parodie di canoni. Poeti neoavanguardisti che non passerebbero il test di Turing. Parodie di scrittori maledetti e parodie di narratori popolari, parodie di engagés e parodie di dégagés, parodie di neoterici e parodie di dialettali.

 

E alla fine, mentre comincio a credere che il senso di questa riflessione letteraria mi stia sfuggendo di mano, mi ricordo di avere letto, qualche anno fa, alcuni libri di Peter Handke; e di essermi stupito di quella sua scrittura così oscura, di non averla capita, di avere buttato i libri in un angolo e poi di averli ripresi in mano senza di nuovo capirli ma intuendo vagamente almeno questo: che era grande scrittura, che era tentativo autentico di parlare di sé dentro il mondo e del mondo dentro di sé. [Mi succede spesso: non mi piace leggere un autore, ma intuisco comunque che è un grande autore; mentre ne leggo altri, sapendo benissimo che sono autori senza nessuna bravura… chissà perché.] Può darsi, insomma, che sia venuto il momento di provare a rileggere Peter Handke, che ha fatto del sogno la materia principale di tutti i suoi testi. E inizierei da questa bella intervista qui, rilasciata non molto tempo fa a Luigi Zoja. E magari, se accettate suggerimenti così puntuali, proprio da questa frase qui:

 

La gente comune pensa che la psicoanalisi sia un complesso strumento che ogni tanto salva chi, di dentro, sta perdendo l’equilibrio. Ma la psicoanalisi è solo una applicazione particolare e un poco artificiale a questi squilibri. È spesso il mondo interiore, che tutti abbiamo, a risanarci: proprio come la febbre è una correzione di temperatura necessaria, con cui il corpo cerca di guarire da sé. Handke, il più psicologico fra gli autori viventi di lingua tedesca, sembra aver istintivamente seguito queste auto-terapie che la psiche ricerca. Mentre noi “normali” puntiamo i piedi, non vogliamo ascoltare cosa il mondo interiore ci chiede: proprio come neghiamo che il corpo sappia cosa vuole quando si fa sentire con la febbre, e cerchiamo di sopprimerla inghiottendo Aspirina.

Davide Profumo
Davide Profumo
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