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scie domenicali

Le domeniche gratis al museo sono una gran bella iniziativa. Specie se uno al museo ci va di mercoledì e la domenica, invece, la trascorre a casa o in un parco a passeggiare. Sono fermamente convinta che forme di gratuità diffusa nei musei (e casomai anche per le mostre) siano necessarie oltre che opportune. Ma io, a meno di non essere obbligata, il giorno di entrata gratuita al Colosseo, al Museo nazionale romano o in altri musei di grande fama, non ci vado…

 

Siccome è domenica e i musei godranno di aperture straordinarie, ho pensato che vi avrebbe fatto piacere, come ne ha fatto a me, leggere questo articolo pubblicato appena ieri da Rita Borioni. L’inizio (che avete appena letto) è bello ma il resto è ancora meglio: e diventa, a partire dalla questione delle aperture domenicali dei musei, un’interessante e acuta riflessione su cosa sia diventato un museo oggi, sul pubblico a cui è necessario che un museo si rivolga, su come sia cambiato negli anni questo pubblico, e quindi, in sostanza, su come siamo cambiati noi che visitiamo i musei e come sia necessario che cambino (un po’) anche i musei. Io credo di avere fatto bene a segnalarvelo. [E quindi, già che ci sono, vi segnalo pure questo: ci sono buone notizie da Pompei, e sappiamo tenerli un po’ da conto anche noi, i nostri tesori; è bene saperlo e non prendere l’abitudine, insana, di guardare sempre e solo lontano.]

 

Così come è utile più ancora che interessante il post pubblicato da Fabio Chiusi su Valigia Blu a proposito del web e degli errori che normalmente facciamo quando ne parliamo; il quale post si intitola così:

 

6 idee sbagliate sul mondo digitale smontate una per una. E non parliamone più Popolo del web, anonimato, cyberbullismo, rettifica, copyright, sicurezza: basta luoghi comuni e disinformazione.

 

E poi (visto che anche noi siamo esattamente su questa stessa barca che “naviga” il web, è bene che riflettiamo sulla scia che stiamo lasciando) comincia così:

 

Emergenze inesistenti, banalizzazioni, dati fasulli, pure e semplici bugie. Sono sempre le stesse cattive idee supportate dagli stessi cattivi argomenti, eppure si ripresentano ciclicamente nel dibattito – quando c’è – su come aggiornare il nostro corpus normativo all’era iperconnessa. Anche quando non ce n’è alcun bisogno, perché bastano le norme attuali. E anche quando Internet non c’entra assolutamente nulla. Per evitare di incappare nelle solite, inutilissime disquisizioni sulle proprietà benefiche o demoniache del fantomatico “popolo del web”, sulla sua presunta “anarchia”, il supposto anonimato-per-tutti-senza-fatica e altre pure e semplici sciocchezze, Valigia Blu ha composto una breve guida per imparare a riconoscerle e, se possibile, evitarle replicandovi nel merito.

 

Infine, per chiudere e lasciarvi (come è giusto) alle vostre gite domenicali, un bel pezzo su uno dei grandi maestri della critica letteraria italiana, Leone Piccioni. Non tanto perché sia interessante la critica letteraria (lo è per me e per pochissimi altri, ma non mi pare che questo sia significativo), ma perché ha un inizio eloquente e perché finisce per essere anche un ritratto dello stato della nostra cultura oggi e della mancanza di cui soffriamo di più, magari senza saperlo (io credo proprio che sia senza saperlo). L’articolo inizia appunto così:

 

Come è stato possibile che un critico letterario affermato, conclamato, potesse diventare direttore del telegiornale? Leone Piccioni sorride. È divertito, anche se non vorrebbe farmelo notare troppo. Poi fa la faccia sorpresa: «E quand’è successa una cosa del genere?». Nel 1959, quando lei venne nominato direttore del telegiornale, professore.

Udite udite: è successo davvero e non eravamo sulla luna, eravamo in Italia. C’era la Dc e c’erano i comunisti; ma c’era anche la cultura. E aveva buona stampa e buona considerazione generale: si pensava che il termine «intellettuale» non fosse una parolaccia, non fosse sinonimo di «parassita sociale», come si crede oggi dopo la cura berluscon-bossiana alla cultura…

Davide Profumo
Davide Profumo
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