Terapia gene-specifica nei pazienti con sindrome del QT lungo tipo 3
25 Giugno 2016Isidoro di Siviglia (570-630 d.C.)
27 Giugno 2016Uscire dalla Brexit, mi sono detto guardando la tastiera su cui devo battere le dita per scrivere: una «brexit-exit», insomma, che però, lo confesso subito, mi è impossibile. Io ci ho davvero provato, a fare lo slalom tra gli articoli e le riflessioni, a guardare oltre il labirinto un po’ schizofrenico dei dati e dei numeri e dei sondaggi d’opinione e dei pentimenti, dei «Londra centro» e degli improvvisati esperti di cultura scozzese di cui improvvisamente il web pullula ma, scusatemi la debolezza, non ce l’ho fatta. E sono rimasto dentro la brexit, come dentro a una prigione. E allora mi sono detto, di questa brexit, che magari vale la pena di accontentarsi di lei e di provare a parlarne, a raccontarla, a capire qualcosa (qualcosina -ina, per ora) di quello che abbiamo intorno e che un riflettore (questo referendum) ha improvvisamente illuminato per noi (eravamo ciechi?).
Ci sono dei grafici, per esempio, su «Internazionale» che mi paiono affidabili e che proporrei, senza farne dei feticci. Dicono quello che in molti già sappiamo: per esempio che il voto è stato geograficamente e territorialmente molto diverso. Ma ci sono altri dati che vale la pena di riportare (sono quelli sulla differenza generazionale tra i voti): ne ha parlato Massimo Mantellini stamattina e mi sembra non si possa prescindere da questa sua piccola riflessione:
l’argomento era perfetto per spargere un po’ di retorica sui pensionati che tolgono l’aria ai giovani, sugli anziani e gretti agricoltori delle midlands che impedivano ai giovani metropolitani di rimanere in Europa. Vecchi contro giovani, conservazione contro innovazione: un tema perfetto. Poi ieri sera Sky ha diffuso questi dati sull’affluenza alle urne in base all’età e tutto il castello di guerra generazionale si è un po’ indebolito.
Poi ci sarebbe anche l’insensata discussione sul diritto di voto e sulla necessità dell’educazione civica per avere accesso alla democrazia (!). Non mi va di perdere troppo tempo su un argomento che assomiglia un po’ alla negazione del nostro stesso sistema di garanzie e diritti; mi piace però riportare le parole di Floria, che è lucidamente agguerrita (come spesso) quando si parla di questi temi e che dice così:
Eppure il buon senso suggerirebbe altre considerazioni, altre domande. O forse una sola, senza pretese: perché i poveri, i vecchi, gli ignoranti (ammesso che siano stati solo loro) hanno votato così? Perché l’Europa, quella che sarebbe dovuta essere una straordinaria opportunità in termini di benessere, pace, prosperità, si è trasformata agli occhi di molti (e non solo in Gran Bretagna) in un’avversaria occhiuta ed estranea, portatrice di interessi che sembrano avvantaggiare solo una minoranza di privilegiati?
Guardiamoci in casa: l’operaio cassaintegrato, il pensionato al minimo, il borghese piccolo piccolo che si sente mancare il terreno sotto i piedi, la cinquantenne appassita che ha perso il lavoro e non sa dove sbattere la testa, il giovane disoccupato uscito da una scuola a pezzi e un’università allo sbando, quali effettivi vantaggi hanno ottenuto da questa Europa? Quali luminose prospettive? Quale ottimismo possono mai nutrire, stritolati nel meccanismo darwiniano della competizione sociale, del tutti contro tutti per un posto al sole, se va bene oggi sì, domani chissà, c’è qualcuno già pronto a scavarti il terreno sotto i piedi e rottamarti, e si fa sempre in tempo a scivolare giù giù, nella cosiddetta scala sociale che troppo spesso si trasforma in una piattaforma inclinata che ti fa precipitare a rotta di collo fra gli invisibili, i perdenti, i disperati? Se domani la scelta fra lasciare o restare venisse proposta in Italia, siamo sicuri che l’esito sarebbe così diverso?
Del lungo (e interessante, ça va sans dire) articolo che ha scritto ieri dopo pranzo Luca Sofri a proposito di tutti questi temi (velatamente criticando chi invece se ne frega e apprezza il fatto che ci sia una bella giornata fuori…), sapientemente intitolandolo Cosa sta succedendo?, mi limito a citare una piccola frase, quasi innocua, ma che (a mio modestissimo parere) ci racconta perfettamente in quello che siamo diventati. La frase è questa:
scriverò una cosa lunga … per levarmi il pensiero prima che comincino le partite di oggi
Poi ci sarebbe anche l’analisi di Christian Raimo, che però questa volta è davvero troppo rapida per poter anche essere minimamente convincente. L’Europa ahimè, non è mai nata a Srebrenica nel 1995, figuriamoci. Se fosse nata lì sarebbe magari un’Europa diversa. Peccato, ma secondo me non funziona così.
E quindi, giunti alla fine, vi confesso che ho letto un piccolo passaggio (sul tanto affollato web, anche lui) in cui mi è sembrato di scorgere una soluzione, un piccolo sentiero, una strada antica molto più sicura e convincente di tutte quelle nuove. La strada si chiama in qualche modo «Regola» e viene da lontano, dal Medioevo. Ne accenna brevissimamente il blog sul monachesimo (che già altre volte ho avuto modo di citare qui) in un post che parla di un libro che si intitola «Abitare come fratelli insieme», che è un titolo così bello e utile. Il post, che magari andrete a leggere per intero (è molto breve ed è bellissimo, per tante ragioni), parla, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, del nostro stare insieme in una piccola aiuola della terra che si chiama Europa, e inizia così:
Non è soltanto l’interesse verso l’argomento storico che mi spinge irresistibilmente verso le regole monastiche, vi vedo anche, forse in maniera impropria, uno degli sforzi più prolungati e intensi di rispondere alla fatale domanda: «Cosa facciamo?», e a quella conseguente: «Come lo facciamo?», con una particolare enfasi sulla prima persona plurale. Osservandole da una posizione laica, inoltre, le regole sono uno straordinario strumento di semplificazione e concentrazione: servono a non distrarsi, a risolvere una volta per tutte gli aspetti pratico-organizzativi della vita quotidiana in modo che l’individuo possa dedicarsi a ciò che è importante, a ciò che è chiamato a fare.
4 Comments
A proposito di Sofri, del togliersi il pensiero, lo accennavo ieri: solo la partita (di calcio) fa Europeo.
Difenderei poi chi ha votato per uscire dall’Europa, li difenderei quantomeno dall’insulto di chiamarli rozzi e ignoranti. Troppo facile chiuderla così. Consiglio il pezzo di Tim Parks di oggi sul domenicale del 24 ore.
Grazie della tua indicazione preziosa. Il pezzo che segnali credo sia questo (e mi pare che Tim Parks abbia molte ragioni): http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-06-26/io-inglese-prendero-passaporto-italiano-103226.shtml?uuid=ADCQbVj
«L’aiuola che ci fa tanto feroci» Par. XXII 151.
Grazie, come al solito, per i numerosi e interessanti spunti.
Sì, era quella l’allusione 😉 (grazie a te, ovviamente)