Destini individuali
12 Ottobre 2014Dentro i libri
13 Ottobre 2014[piccola parentesi domenicale sulla scuola: scusatemela, gentili dottori, e concedetemela]
È sempre molto difficile fare cinema sulla scuola, non so perché. Lo dico da insegnante di letteratura in un liceo, che amerebbe ogni tanto vedere, rappresentata sul grande schermo, qualcuna delle tensioni che animano la sua vita e la sua idea di scuola e di società, magari senza troppi edulcoranti e banalità. Se penso agli ultimi decenni di cinema mi vengono in mente davvero pochi film che mi abbiano saputo, se non entusiasmare, almeno convincere un po’.
Mi piacque molto, un paio di anni fa, il film che si intitolava Il distacco, di Tony Kaye, con Adrien Brody (ritratto devastante e devastato della scuola contemporanea, ma almeno sincero e senz’altro lucido); mi era piaciuto anche L’onda, un film tedesco di Dennis Gansel, il quale però (a ben pensarci) era soltanto ambientato in una scuola, e non parlava quasi per niente di scuola; non mi entusiasmò invece La classe, del pur bravo Laurent Cantet, e non so nemmeno spiegare bene il motivo: ma lo trovai abbastanza deludente. Così come nemmeno voglio citare i tentativi cinematografici e/o televisivi che sono stati fatti in Italia in questi ultimi dieci anni: perché, tra un’imbarazzante notte prima degli esami e l’altra, hanno offerto un ritratto spaventosamente mieloso e sfocato e inutile e appiccicoso di una realtà, ahimè, assai più ruvida e spigolosa (ma su cui fa abbastanza comodo a tutti sorvolare). Dovrei forse dirvi che L’attimo fuggente fu il film che… e invece no: lo trovai, anche quando uscì e avevo solo vent’anni, un film presuntuoso e inutile e terribilmente conformista (come è ed era), che non parlava affatto della scuola per come essa davvero sia.
È anche per questo che attendo di vedere con una certa apprensione e con più di una aspettativa il film sloveno Class enemy, del regista ventottenne (!) Rok Bicek, che sta uscendo nelle sale italiane in questi giorni. Ne leggo recensioni che mi lasciano ben sperare; mi pare che anche solo in poche righe di presentazione del film si trovino molte più verità sulla scuola che abbiamo (in Europa, credo) di quante ne abbia lette sui giornali in questi ultimi tre mesi (e ne sono state scritte un’infinità,come ben sapete). Leggo, tra il resto, questi passaggi (da questa bella recensione):
Come in una pièce teatrale, quasi tutto accade dentro una scuola, che nonostante le suppellettili invidiabili per qualsiasi istituto italiano, nonostante il decoro, diventa subito un luogo claustrofobico. Il nemico di classe è il nuovo insegnante di tedesco, il professor Zupan (Igor Samobor, veramente bravo), che sembra apparentemente non interessarsi al lato umano del suo mestiere, non si preoccupa di essere affettuoso e comprensivo con gli studenti, come fanno invece tutti gli altri intorno a lui. Considera anzi la condizione di studente un privilegio di cui essere all’altezza, specie al di fuori degli anni dell’obbligo, e l’adolescenza l’età in cui si inizia a trattare ed essere trattati da adulti.
L’educazione, la scuola sono l’interfaccia attraverso cui una società versa tutta se stessa in chi sta ancora sulla soglia. Nelle scuole si trova tutta la vita, i valori e i disvalori di un paese e di un’epoca. Questo, Biček lo intuisce chiaramente e costruisce un ambiente gretto, stupido, razzista, confuso, in cui ognuno è concentrato solo sul proprio io, ognuno vuole essere capito senza sforzarsi di capire, come per il regista succede anche al di fuori della scuola…
Oppure leggo da quest’altra breve presentazione:
Zupan, il nuovo professore, vuole convincere i suoi alunni che la disciplina e il lavoro rigoroso siano condizione necessaria alla formazione di un essere umano. Gli alunni, dal canto loro, sembrano dare (erroneamente) per scontato di essere umani e considerano spropositate le pretese del professore, cresciuti come sono in una scuola protettiva, disposta alla comprensione e molto, molto prudente: “Benvenuto nel ventunesimo secolo, prima loro temevano noi, ora noi temiamo loro” dice la preside a Zupan. I ragazzi gli si ribellano convinti con ciò di ribellarsi al “sistema”; il professore ribatte colpo su colpo, non risparmia disprezzo, minacce, umiliazioni. Ma è chiaro che entrambi puntano un falso bersaglio.
E, per una volta, penso che forse sì: che forse abbiamo trovato un film che saprà ben raccontare la scuola di oggi. E andrò a vederlo e spero di non buttare via (come spesso accade) i soldi del biglietto.