era un profugo
10 Settembre 2017la terrazza della vita
14 Settembre 2017A cura di Ivana Pariggiano
Ridker PM Eur Heart J 2016;37:1720-22.
Se da un lato un’ampia letteratura scientifica ha dimostrato l’efficacia della terapia statinica nella riduzione degli eventi cardiovascolari in prevenzione secondaria, dall’altro l’elevata incidenza di eventi in pazienti con LDL a target ha permesso di definire un problema noto alla letteratura clinica come «rischio residuo».
Un aspetto di tale rischio risulta ancora legato ai valori di colesterolo LDL, potendo essere ridotto con un potenziamento del trattamento ipolipemizzante, ottenibile ad esempio con gli inibitori PCSK9, che hanno dimostrato una riduzione degli eventi. Tuttavia, terapie che si propongono di migliorare il profilo lipidico agendo sui valori di trigliceridi o di colesterolo HDL non hanno ancora dimostrato la loro efficacia nella riduzione degli eventi in studi clinici randomizzati.
Eppure, concentrandosi esclusivamente sul «rischio residuo di colesterolo» in pazienti trattati con statine, non si considera che questi agenti hanno anche effetti anti-infiammatori. Come dimostrato in alcuni trial come il REVERSAL, PROVE-IT, ASCOT e JUPITER, marker infiammatori come la proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP) sono importanti determinanti del rischio. In prevenzione secondaria tra i pazienti partecipanti al trial PROVE-IT trattati con statine ad alte dosi, coloro che hanno raggiunto livelli LDLC, inferiori a 70 mg/dL e livelli hsCRP, inferiori a 2 mg/L avevano tassi sostanzialmente più bassi di eventi vascolari ricorrenti rispetto a quelli che avevano raggiunto solo uno o nessuno di questi obiettivi di trattamento indipendenti.
Il concetto di «doppio bersaglio» è stato recentemente confermato nel trial IMPROVE-IT, in cui l’aggiunta dell’ezetimibe alla sinvastatina non solo riduce ulteriormente la LDLC, ma riduce anche la PCR hs.
I dati dell’IMPROVE-IT e degli altri studi precedenti suggeriscono che il rischio di eventi in prevenzione secondaria si riduce non solo per LDLC, ma anche per biomarcatori di infiammazione vascolare. Considerare i due lati del rischio residuo sottolinea l’importanza delle LDLC nel processo infammatorio dell’aterogenesi e delle sue complicanze. In questa maniera, l’ipotesi LDL e l’ipotesi infiammatoria sono interconnesse, e richiedono quindi una maggiore attenzione clinica nella gestione del paziente che ha già avuto un evento cardiovascolare.
In secondo luogo, si sottolinea l’importanza di modifiche dello stile di vita come la perdita di peso, l’esercizio fisico e la cessazione del fumo, che, riducendo lo stato infiammatorio, assumono un ruolo fondamentale anche in prevenzione secondaria.
Il concetto di rischio residuo può quindi portare a un approccio terapeutico personalizzato. Recentemente, trial condotti con agenti anti-infiammatori mirati, come canakinumab, hanno ridotto non solo i parametri anti-infiammatori (con poco o nessun impatto sulla LDLC), ma anche il tasso di eventi cardiovascolari. In base al profilo di rischio individuale, sarà possibile optare per un trattamento che miri a un’ulteriore riduzione di LDL ottenibile con l’aggiunta di ezetimibe o potenzialmente un inibitore PCSK9 lì dove prevalga il rischio lipidico, oppure per una terapia con i nuovi anti-infiammatori, se il rischio infiammatorio residuo dominasse il quadro clinico.