i ritagli di settembre
1 Ottobre 2015Louis Pasteur (1822-1895)
6 Ottobre 2015Mi è sempre più difficile pronunciare la parola cultura (e apposta non la metto tra virgolette, perché altrimenti, lo capite bene, già sarebbe una parola diversa da quello che è. E già l’avrei pronunciata e interpretata in un modo diverso da quello che vorrei. La cultura dovrebbe essere tale e sempre, senza virgolette).
Così come mi diventa ogni giorno più difficile pronunciare la parola letteratura, senza virgolette. Perché mi si confondono le idee, perché le poche idee confuse che ho mi sembrano molto diverse da quelle chiarissime che hanno gli altri (che siete voi, mi sa), perché non so più controbattere ragionevolmente alle idee chiare (e però sbagliate) (secondo me) che hanno gli altri.
So che alcune cose che riguardano la letteratura e la cultura mi piacciono e altre non mi piacciono, o addirittura mi irritano e mi indispongono. Oppure mi riducono al silenzio, perché mi confondono. Per esempio questa cosa che ho letto oggi mi dispiace, e vorrei che fosse profondamente sbagliata (e penso che lo sia, con tutte le mie deboli e inutili forze intellettuali); perché penso che la competenza esista e debba esistere ed è troppo comodo far finta che non esista (ma forse purtroppo la cosa in sé non è nemmeno sbagliata. Purtroppo). L’ha scritta Luca Sofri, questa cosa, e comincia così (e notate le virgolette):
Qualche settimana fa sul sito del New York Times c’erano delle interessanti riflessioni sul ruolo e sul senso dei “critici” letterari, nel 2015: tema su cui si potrebbe e dovrebbe scrivere molto, mi appunto solo alcune cose. La “critica” in quel senso austero e illuminato che le si dava una volta negli ambienti culturali, accademici ed editoriali italiani, non esiste più: e se esiste è diventata invisibile…
E vorrei invece che fosse sbagliata e vorrei indefessamente pensare che sia davvero esagerata anche la visione orribile che, di noi e della nostra nazionale (non)vocazione alla cultura, ha avuto Christian Calandro, prima di scriverla sul sito Minima&Moralia; eppure temo che invece sia giusta, che abbia ragione lui, che dica parole sacrosante e che siano bugie piuttosto le mie negazioni, i miei dubbi, i miei ghedineschi e ben poco convinti «ma va là». Calandro scrive così, oltre al resto:
L’Italia – insieme all’intera Europa meridionale, quella non a caso più in difficoltà dal punto di vista economico nell’era della crisi e all’interno del progetto comunitario, in apparente via di dissolvimento – trasformata in vacation land. Un unico grande parco di divertimenti, una nazione orientata unicamente all’intrattenimento: l’associazione, l’identificazione tra cultura e turismo nelle diciture istituzionali è da decenni il sintomo di questo processo. Dobbiamo quindi allenarci a sognare generazioni di giovani – i quali tra non molto, è bene non dimenticarlo, saranno “non-più-giovani” – finalmente e felicemente occupati come camerieri, cuochi, domestici, cicisbei?
Ecco perché mi è sempre più difficile pronunciare la parola cultura; e farlo senza mai avere la tentazione di aprire le virgolette: “cultura”. Ma forse le parole giuste, a tal proposito, sono già state scritte qualche anno fa, e non c’era nemmeno bisogno di dispiacersi oggi per tutto quello che nel frattempo, tra virgolette, si va considerando. Le ha scritte Michel Houellebecq, in un fulminante saggio che non a casa si intitolava Restare vivi. Le trovate qui, sono poche righe, fanno però un po’ male.