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regalare

Contravvengo a una piccola, silenziosa regola che mi sono dato qualche mese fa (solo per stanchezza, non ci sono segreti nelle regole silenziose che mi impongo: sempre e soltanto senilissima stanchezza…) e vi chiedo, se avete voglia e tempo, di leggere un piccolo post che parli di scuola. Lo ha scritto Luca Ricolfi (che di scuola, che io sappia, non ha mai parlato) e si inserisce nel dibattito un po’ ozioso che in questi mesi ha avuto come protagonista il liceo classico, la sua utilità, la sua funzione, la sua necessità vera o presunta (io non lo so: mai frequentato il classico, per esempio). Di tutte le opinioni che ho letto, infatti, dagli sperticati elogi di taluni alle critiche feroci di altri, quella di Ricolfi mi sembra la più concreta e ragionevole; l’unica per cui mi sento di chiedervi di spendere qualche minuto della vostra giornata. Perché, secondo me ha ragione lui, non è esattamente di liceo classico che stiamo parlando in questi mesi di dibattito sul liceo classico. E infatti:

 

… quel che osservo nel mio lavoro di docente universitario non mi può lasciare indifferente. Quel che vedo è terribile. Ci sono studenti, tantissimi studenti, che non hanno alcun particolare handicap fisico o sociale eppure sono irrimediabilmente non all’altezza dei compiti cognitivi che lo studio universitario ancora richiede in certe materie e in certe aree del Paese. Essi credono di avere delle “lacune”, e quindi di poterle colmare (come si recupera un’informazione mancante cercandola su internet), ma in realtà si sbagliano. Per essi non c’è più (quasi) nulla da fare, perché difettano delle capacità di base, che si acquisiscono lentamente e gradualmente nel tempo: capacità di astrazione e concentrazione, padronanza della lingua e del suo lessico, finezza e sensibilità alle distinzioni, capacità di prendere appunti e organizzare la conoscenza, attitudine a non dimenticare quel che si è appreso. La scuola di oggi, con la sua corsa ad abbassare l’asticella, queste capacità le fornisce sempre più raramente. E, quel che è più grave, questa rinuncia a regalare ai giovani una vera formazione di base non avviene certo in nome di un’istruzione “utile”, ovvero all’insegna di uno sviluppo delle capacità professionali, ad esempio sul modello tedesco dell’alternanza scuola-lavoro. No, il modello verso cui stiamo correndo a fari spenti è quello della liceizzazione totale: la scuola secondaria superiore è oggi un gigantesco liceo che non è più in grado di erogare una preparazione di base decente, e proprio per questo induce l’università a trasformarsi essa stessa in un immenso e tardivo liceo.

 

L’articolo è interamente riportato qui. Ma la parola più bella era già nel brano che avete appena letto, ed era la parola «regalare».

Davide Profumo
Davide Profumo
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1 Comment

  1. Cicci ha detto:

    Parole sante, quelle di Ricolfi. Peccato poi che l’Università si sia facilmente adattata, e in piena e assoluta quiete, a farsi liceo, abbassando la guardia, lasciando ai soli test di ingresso il compito, minimo, della selezione.

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