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raccontare un desiderio

È lungo ed è a tratti anche un po’ farraginoso (parere mio) il post che non riesco a togliermi dalla testa oggi (e che dunque, credo, vi consiglierò alla fine di queste righe). È lungo ma forse dice, tra i suoi percorsi a volte sinuosamente concentrici, una cosa che credo di avere sempre pensato.

 

Ho sempre pensato, per esempio, che la letteratura abbia a che fare con il desiderio. Con gli aspetti più ovvi del desiderio, naturalmente: l’amore, la voglia di fuggire altrove, il desiderio di non morire, la paura di invecchiare e non poterlo evitare. Ma anche con gli aspetti più oscuri del desiderio: quelli che neghiamo a noi stessi, quelli che nascondiamo agli altri, quelli che davvero non conosciamo di noi stessi, ciò che sentiamo illecito desiderare, ciò che non riusciamo comunque a non desiderare.

 

[In un altro articolo, sinceramente un po’ banale nell’apologo che ne offre l’abbrivio (parere mio…) ma molto efficace  e condivisibile nelle sue considerazioni finali, Roberto Cotroneo scrive oggi che la dimensione di cui l’arte racconta la necessità è «l’oscuro», «l’improbabile»; e scrive così: «Il nostro grandioso realismo non può indicare l’oscuro, perché salterebbero le regole di questi anni. L’oscuro non è una categoria narrativa. Il realismo deve risolvere, non aggravare e indicarci le certezze. Ed è per questo che siamo invasi da giallisti che raccontano di commissari di polizia che risolvono tutto, da politici concreti che non devono aver dubbi e che formulano di continuo una teologia della realtà, da economisti  e finanzieri che praticano il problem solving, da una giustizia che non soffre l’indeterminato, l’inesatto, l’incerto.»]

 

Anche per questo, quindi, non riesco a pensare che la sessualità possa non avere niente in comune con l’agire letterario, con lo scrivere e il raccontare. Entrambe, appunto, in quanto espressioni di un desiderio a volte limpido altre volte assai più torbido e indecifrabile.

 

Ed eccoci quindi al post che oggi non mi dà pace. Lo ha scritto Franco Buffoni e racconta di come l’omosessualità sia (possa essere) la radice profonda della letteratura di alcuni degli autori che amiamo, molto di più di quello che sospettiamo. Ci sono nomi: alcuni li conoscete, di alcuni già sapevate, di altri immagino di no. Però vale la pena di leggere e di pensare il post di Buffoni, anche se come me non lo trovate convincente fino in fondo. Vale la pena, io credo, perché la letteratura è il racconto del nostro continuo (e frustrato) desiderare. E il continuo desiderare è la forma più evidente del nostro stare al mondo, della nostra infelicità, della nostra insoddisfazione perenne di esseri umani mortali; che diventa letteratura, tale racconto, quando siamo costretti a pensarci continuamente, a provare a decifrarlo e analizzarlo, a costruirne una grammatica e in sostanza a raccontarlo, prima a noi stessi, poi magari anche agli altri. Anche se non so, a dire il vero, se Franco Buffoni intendeva dire proprio questo. Valuterete voi.

Davide Profumo
Davide Profumo
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