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quel po’ di pace

Ho letto (e vi invito a farlo) il pezzo che ha scritto per il Post Alessandro Baricco (uno degli intellettuali che ho amato di meno [detestato di più, in realtà], negli ultimi vent’anni) e mi ha fatto molto pensare. L’ho trovato molto ben scritto, l’ho trovato anche coraggioso, mi è sembrato che tutta la parte iniziale fosse davvero acuta e puntuale, che mettesse a fuoco una dimensione del nostro vivere recente che altrimenti rischia di sfuggirci, ho pensato che ero felice di averlo letto.

Poi ho letto anche la seconda parte di quel pezzo di Baricco (che è questo, lo trovate qui: si intitola Mai più) e non l’ho ben capita: ma, mi sono detto, c’è una continuazione, forse capirò più avanti, sicuramente Baricco mi spiegherà meglio quello che ora non capisco (il concetto di «intelligenza novecentesca», per esempio).

Non basta. Ho letto il pezzo di Baricco e alla fine non ero però convinto che lui avesse del tutto ragione. Mi piaceva molto, ne ho colto delle idee essenziali, ma non ero sicuro (ma credo che lo stesso Baricco volesse esattamente provocare questa mia insicurezza: per questo ho scritto prima «intellettuale», perché mi pare che questo debba essere l’obiettivo di un intellettuale; qualche mese fa non avrei mai usato questo sostantivo per parlare di Alessandro Baricco, oggi mi pare perfetto). Non ero quindi sicuro di condividere quello che lui ha scritto.

Poi ho letto le parole di un altro intellettuale (e scrittore anche lui) e ho pensato di avere capito un po’ di più, di tutta la questione (che poi è riassumibile nella domanda: è vita quella che stiamo conducendo? La possiamo ancora chiamare così, visto che è una vita privata di molte libertà? È ancora vita quella in cui non possiamo uscire la sera, perché altrimenti ci multano? Quella in cui non possiamo vedere i nostri genitori, perché a seconda di come li vediamo [io ho incontrato i miei un solo pomeriggio, negli ultimi 14 mesi] rischiamo di ucciderli?).

Questo secondo intellettuale dice di sì, che è vita anche questa, altroché: e mette in dubbio le affermazioni di Baricco e discute un avverbio precisissimo, appena, che Baricco usa; che è bellissimo ma forse così preciso non è. E io (che pure sarei uno di quelli che non resisterebbe a nessuna delle cose terribili che questo secondo scrittore racconta: trovate il suo pezzo qui) non ho ancora deciso con chi dei due sono più d’accordo; ma, per una volta, ho avuto la sensazione di essere davanti a un confronto intellettuale «alto», che mi costringeva a pensare, anche ad abbandonare alcune posizioni pregresse che davo per scontate, alcune (mie) incrostazioni.

Non succede spesso, non succede quasi mai. Molto più spesso chi discute va avanti solo per luoghi comuni, frasi fatte, ovvietà urlate forte. Questa volta no, questa volta lo scambio è autentico e mi ha tolto un po’ di pace. È quello che chiedo agli intellettuali, è quello che forse anche chi passa di qui deve chiedere a uno scrittore: che gli tolga un po’ della sua pace, che metta in discussione le sue certezze. Mi pare che è questo che la letteratura dovrebbe fare, quando è autentica: toglierci quel po’ di pace che ci siamo nel frattempo costruiti, perché era (in parte) una bugia, perché era un modo per non guardare più.

Ma forse esagero, non so. Vi lascio però volentieri a loro due, alle loro idee, ai dubbi che vi possono instillare. Il pezzo di Baricco dice così, per esempio:

Ciò che sta succedendo è che umani capaci di vivere non lo fanno più. Non viaggiano, restano a casa, lavorano senza incontrarsi, non si toccano, non si occupano dei loro corpi, conservano pochissime amicizie e al massimo un amore; da tempo riservano al solo ambiente famigliare, notoriamente tossico, gesti come abbracciarsi, lasciarsi guardare in faccia, dividere il pane; disponendo di artisti capaci di generare emozione e bellezza, non li incontrano più; possiedono bellissime opere d’arte ma non le vanno a vedere, e musica raffinatissima che non vanno ad ascoltare; non mandano più i figli a scuola, e d’altronde neanche a fare sport, feste e gite; non escono dopo il tramonto, quando è festa si chiudono in casa.

Quello del blogger Squonk inizia invece così:

Non so voi: io sono di quelli che quando si trovano di fronte a una cosa detta o scritta bene si devono controllare per evitare di pensare che quella cosa sia vera (o giusta, o buona) per il solo fatto di essere espressa con precisione e cura ed eleganza. Mi capita leggendo questo libro o quell’articolo, c’è quella frase messa giù bene, né una parola di più né una di meno, l’aggettivo esatto, il suono giusto, insomma il gruppo perfetto di parole da prendere e ricopiare sulla Smemo (o, più prosaicamente e in modo più dignitosamente coerente con l’età, da evidenziare e tenere nei clippings del Kindle), buona da citare in un post o una chat di Whatsapp. Poi mi fermo e mi chiedo cosa sta intendendo chi scrive, perché va bene innamorarsi delle bugie ben dette ma c’è un limite a tutto.

Davide Profumo
Davide Profumo
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2 Comments

  1. Mariangela ha detto:

    Dalle mie parti direbbero che i due intelligentoni hanno buon tempo. Se uno volesse, ce n’è di robe da fare, per sentirsi vivo… magari dare una mano, in senso preCovid, naturalmente.

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