Se i luoghi che immaginiamo sono, come effettivamente sono, allegoria dei luoghi che abitiamo e quindi, ovviamente, il senso stesso della letteratura che ci abita, ecco allora che il luogo immaginato senza di noi (ad abitarlo e immaginarlo) può essere allegoria del nostro esserci, del nostro abitare questi luoghi, del nostro riempire la terra della nostra presenza e delle nostre parole.
Per questo, se ho capito bene, mi è molto piaciuto l’articolo che ho letto oggi a firma di uno storico della biologia (io nemmeno lo immaginavo che esistessero gli storici della biologia, ve lo confesso…), il cui nome è Telmo Pievani. Perché mi pare che nel suo descrivere il vuoto sappia raccontare fin troppo bene il nostro pieno; e mentre prova a immaginare che cosa sarà la terra quando noi non la abiteremo più, costruisce la piccola allegoria di quello che facciamo abitandola, nel bene e nel male (che sono due fondamentali ingredienti, credo, del nostro abitarla).
Ma insomma, l’articolo è spaventoso e godibilissimo (lo trovate qui) e vi invito a leggerlo (e anche a leggere il libro che introduce, visto che siamo in questi luoghi…). E inizia così:
Che cosa succederebbe sulla Terra se domani mattina tutti gli esseri umani, improvvisamente e misteriosamente, scomparissero? […] Pensiamoci. In un’alba inusitata, senza il segno di alcuna cinematografica apocalisse, il brulicante ronzio dell’umanità è messo a tacere, tutti i nostri macchinari sono spenti, auto e treni immobili, aerei a terra, navi e petroliere alla deriva. Non c’è più nessuno ai posti di comando. Le fabbriche abbandonate, i negozi vuoti, le strade deserte, asili e scuole tristemente silenziosi. Le stalle sono aperte, le case abbandonate, le biciclette appoggiate ai muri, i robot improvvisamente paralizzati, gli schermi dei computer tutti neri. I telefonini, ovunque muti: fine della grande conversazione planetaria. Ripetitori e trasmettitori silenti. I cavi dell’alta tensione non sono più un pericolo per gli uccelli. I centri commerciali, finalmente, deserti e ancor più desolati di quando erano pieni di gente.
E poi prosegue, e proseguendo diventa sempre meno un esercizio mentale e sempre più un ritratto in controluce del nostro essere su questo pianeta affaticato, del nostro abitare e affaticare questi luoghi, mentre ne immaginiamo altri che ci spieghino perché e come li abitiamo. È la letteratura, un esercizio dell’immaginazione, non è biologia, e si occupa quasi soltanto di luoghi allegorici; e non ci sarà più, nemmeno lei, quando non ci sarà più l’uomo.
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Una decina d’anni fa uscì un documentario su questa ipotesi: https://en.wikipedia.org/wiki/Aftermath%3A_Population_Zero