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7 Gennaio 2016Non ho visto l’ultimo film, appena uscito, di Checco Zalone. Lo guarderò tra qualche mese, quando sarà troppo tardi per parlarne con i vicini di casa, perché nel frattempo (io credo) loro se ne saranno dimenticati o non avranno più voglia di parlarne.
Non ho visto l’ultimo film di Luca Medici, in arte Checco Zalone, ma ho visto i suoi precedenti, ho ascoltato diverse sue canzoni, mi sono imbattuto in alcune sue imitazioni televisive (formidabili, per quanto mi riguarda, quelle di Nichi Vendola e di Massimo Gramellini, per esempio). E dunque riesco a capire l’entusiasmo o le perplessità di molti dei miei vicini di casa e anche il grande interesse che il mondo della cultura e del cinema, anche sul web, sta riservando a quest’ultimo film, che ha incassato cifre talmente elevate che io non riesco nemmeno a pronunciarle.
E quindi, visto che non si parla di altro, mi è parso interessante e opportuno proporvi una mia personale e piccolissima scelta dei commenti che ho letto in questi giorni in rete sulla comicità di Zalone e sul suo nuovo film, che, lo ripeto perché non ci siano equivoci, non ho visto e non vedrò al cinema. Parto da uno dei miei scrittori preferiti di questi ultimi anni, Nicola Lagioia, il quale scrive così:
Se a volte si contamina coi toni surreali di Albanese, ha l’accortezza di non volerli trasformare in poesia: non sente il bisogno di nobilitarsi citando Jacques Tati. Non si crogiola in nessuna nostalgia. Con Lino Banfi (soprattutto il primo) condivide la necessità di sfangarla a tutti i costi. Solo che Banfi era più vulcanico e viscerale: il gesto di battersi la fronte con la mano per darsi coraggio resta memorabile perché richiama la forza della disperazione che nelle sue ascendenze più nobili arriva a Totò. La comicità di Zalone – anche se capisco che possa sembrare strano – è invece più raffreddata e straniante.
E passo, subito e senza lasciarvi il tempo di pensarci, a Luigi Castaldi, che propone un’analisi assai diversa e acutamente anche più velenosa:
Si obietterà che, se fa ridere, la comicità ha necessariamente da avere un bersaglio, e quella del Checco ne ha tanti, a destra e a sinistra, in alto e in basso, davanti e dietro, e tutti vengono colpiti, per giunta con la forza di una franca incorrectness. È vero, ma il trucco che la rende inoffensiva sta nel fatto che il colpo si compiace oltremodo dell’esser becero: in questo modo, e nello stesso tempo, a un certo pubblico è offerta l’occasione di un liberatorio sfogo a quello stesso tratto di becerume, mentre al bersaglio è dato il miglior agio di potersi difendere per l’esplicita bassezza del colpo.
Più «politica», quasi sociologica, è invece la lettura che cerca di dare Alessandro Gilioli, in un post interessante di cui però mi permetto di consigliarvi soprattutto i commenti, che sono un eloquentissimo esempio di quello che le persone possono o meno pensare di un film comico; Gilioli scrive, tra il resto, così:
“Quo Vado? invece è un film molto più ottimista: sulla possibilità di resilienza alle grandi mutazioni in corso e sulle chance di trasformazione interiore sia del singolo sia della società (non che sia un thriller ma se temete lo spoiler mollate pure qui). Forse anche in questo ottimismo, oltre che in tutto il resto, c’è la chiave del suo successo: si esce con la speranza di farcela, a superare questo grande passaggio; con l’idea che forse ciascuno di noi può arrivare all’altra sponda non solo vivo, ma più felice e addirittura migliore dentro.
Infine, prima di confessarvi che il paragone, che ho letto quasi ovunque, con Fantozzi (il davvero tragico Fantozzi) a me pare pochissimo calzante; che quello con alcuni personaggi della commedia all’italiana degli anni Sessanta (Sordi, in particolare, quello che «ve lo meritate, Alberto Sordi») mi convince già un po’ di più; ma soprattutto che mi pare che Zalone sia la riedizione contemporanea di qualcosa che ha molto a che fare con i personaggi della Commedia dell’Arte (un tamarrissimo Pulcinella, o un Arlecchino servile, se preferite) e che a me fa molto ridere e però nient’altro; vi consiglio di leggere anche il post che all’ultimo film di Zalone ha dedicato Christian Raimo (con annesso inutile tweet del ministro della cultura). Il quale è sempre attento e forse dice benissimo quello che avrei voluto dire anche io:
Se c’è qualcosa che Zalone e Gennaro Nunziante (regista, cosceneggiatore e sodale di Checco dai tempi di Telenorba) hanno capito è che se la comicità è un linguaggio che funziona quando si riferisce al tempo presente e se viene condiviso dal maggior numero di persone possibile, allora il riferimento più semplice dev’essere alla condizione più comune oggi in Italia: quella del ceto medio impoverito. Il tono della satira di Zalone non può mai essere feroce perché anche il potere è debole, arreso, avvinghiato a privilegi sempre più miseri. Zalone tocca il nervo scoperto della diffusa sensazione di perdita della sicurezza economica: il sogno berlusconiano che aveva prolungato oltre il tempo massimo la proiezione di benessere della prima repubblica è svanito, e insieme è evaporata anche la distinzione tra destra e sinistra, alto e basso, ricchi e poveri. Il tono della satira di Zalone non può mai essere feroce perché anche il potere è debole, arreso, avvinghiato a privilegi sempre più miseri, pensionato, moribondo. La stessa aggressività tamarra dei suoi esordi e dei precedenti film è molto smussata.
[Aggiungo in ritardo, perché l’ho letta appena chiuso il mio post, che la recensione di Leonardo Tondelli è molto interessante per alcuni spunti (oltre che per il titolo: “Nessuno ci odia più di Checco”); e che, in particolare, è molto interessante quello sul “bambino razzista” (non ho visto il film, ma me lo immagino bene). Leonardo scrive così:
A un certo punto del film c’è un bambino razzista. I bambini di solito nei nostri film sono creature naturalmente buone, che dicono sempre la verità. Nel film di Checco no. Ci sono bambini educati (in Norvegia), che credono in qualsiasi Dio o anche in nessuno, e poi ci sono bambini razzisti. E sono proprio i tipici bambini italiani pettinati da calciatore, che giocano a pallone in piazza e non ti fanno entrare in squadra se non parli il loro dialetto. Veltroni non li vede, Checco sì. Checco vive nella mia Italia, Veltroni non so. Poi dite che è di destra. Un film in cui i cattivi sono i bambini pettinati da calciatori, e i buoni sono gli scienziati con la famiglia aperta.
Ora ho finito davvero, scusate.]
2 Comments
Sere fa, un caro amico mi ha fatto conoscere un comico statunitense, Louis CK. Mi dica se Checco Zalone, a lei che senz’altro conoscerà CK, non sembra il suo fratello buono, il fratello un po’ stupido, quello gentile, dal cinismo da cagnolino simpatico.
Ci sono affinità tra i due, in certo modo. Se non altro perché entrambi ridono e fanno ridere del cosiddetto politically correct (razzismo, omosessualità, ecc.). Poi ci sono distanze molto grandi, ché il talento nostrano ha quella compiacenza tutta italiana verso se stesso, che è un po’ (ahinoi?) la nostra cifra comica da generazioni.