nei libri che apriamo
16 Maggio 2019lingua madre
23 Maggio 2019Che le parole non le portassero le cicogne, lo avevamo già imparato, una ventina di anni fa, se ben ricordo; lo sapevamo quindi molto bene, le parole parlano e spesso parlano di noi (e grazie a noi), assai più di quanto noi non parliamo di loro (e grazie a loro).
Ma l’articolo (interessante) che vi raccomando oggi, in verità, si spinge anche un po’ oltre; e ci dice che non solo le parole comuni, quelle di tutti, vengono da lontano; ma anche i cognomi, quelli che sentiamo come nostri, i «nomi propri», diceva la maestra elementare per distinguerli da quelli «comuni», e quindi le parole «private», potremmo oggi dire noi, in epoca di privatizzazioni continue e di difesa ad oltranza e con ogni mezzo delle nostre personali proprietà… Anche i cognomi non sono del tutto nostri, guai che ce li tocca. Dice l’articolo:
Dietro ogni cognome c’è una storia; e quasi tutte iniziano nel Medioevo.
E poi aggiunge:
Buona parte dei cognomi attuali derivano comunque da patronimici, anche se in forme diverse: poteva essere utilizzato in latino o in italiano (Francisci e Di Francesco) e spesso la preposizione cadeva (ecco dunque Daniele alternativo a Danieli, Valentino alternato a Valentini o ancora Salvatore e Salvatori, Guarino e Guarini); in qualche caso restava anche il titolo del capostipite (Mastromatteo, Mastrogiorgio)… Non mancano cognomi che alla loro origine hanno soprannomi tutt’altro che benevoli: Fumagalli, ad esempio, significa “ladro di polli” (‘fumare’ è un’espressione gergale lombarda adoperata per indicare sia la cottura alla brace, sia la sottrazione abusiva di un bene) e i primi Baglioni erano figli di “bagli”, funzionari statali addetti alla riscossione delle tasse, all’esecuzione delle condanne e alla convocazione delle milizie. Il Massaro era invece il fattore, mentre i Fornaciari non erano altro che fornai.
E avanti così, insomma. E con un po’ di fortuna, io credo che possiate anche trovarci i vostri, di cognomi; a me è andata male, il mio non c’è, ma c’è forse una possibile spiegazione; e anche il mio congome quindi, personalissima proprietà, viene da lontano e non è nemmeno così mio, così privato.
Ma non solo i cognomi vengono da lontano e continuano ad essere presenti. Succede pure alle lingue morte, sempre vituperate, povere loro, e mai però del tutto estinte. E mi pare pertanto interessante, visto che si risale addirittura a oltre un migliaio di anni prima che il medioevo dei nostri cognomi finisca, recuperare questo bellissimo e utilissimo elenco di espressioni latine che usiamo nel parlato quotidiano e che sarebbe meglio conoscere, per non fare brutte figure. L’elenco è qui. Ma è bello farsi qualche quiz solitario, mettersi segretamente alla prova, per vedere quanto siamo ignoranti e non doverlo confessare a nessuno. Per esempio, la conoscete questa? O avete subito pensato alla biancheria che giace nel cassetto?
Mutatis mutandis: letteralmente traducibile con “dopo che le cose che dovevano essere cambiante (mutandis) sono state cambiate (mutatis)”, tradotto in modo meno letterale, “fatti i debiti cambiamenti”. In italiano viene usato quando si paragonano due situazioni che sono simili, ma hanno alcune differenze di cui bisogna tener conto: “mutatis mutandis, la situazione è la stessa”. È anche un invito a non paragonare in modo superficiale due situazioni che sembrano simili.
E questa invece?
Obtorto collo: significa “con il collo torto” ed indica una cosa fatta controvoglia, o perché costretti da qualcun altro.
E quest’altra, così bella e istruttiva in tempi di continua connessione tecnologica (ma ditelo anche ad Alberto Angela, che nulla capì del barocco ibleo):
Horror vacui: è la paura del vuoto, che in psicologia viene definita anche agorafobia. In campo artistico, invece, indica un’opera riccamente definita in cui l’intera superficie, del quadro o dell’affresco, è stata riempita di particolari. Il barocco e il rococò sono un chiaro esempio di horror vacui.
Ma forse le più utili da conoscere sono queste altre, così stranamente attuali, a bene vedere finanche un po’ minacciose per la nostra tranquillità quotidiana:
Habeas corpus: è un concetto familiare a chi si occupa di diritto anglosassone ed è il principio che nei sistemi di common law sancisce il diritto all’inviolabilità della persona: in sostanza impone che una persona in stato d’arresto sia portata davanti al magistrato competente per evitare che sia incarcerata senza un’accusa fondata.
Panem et circenses: è un’espressione del poeta satirico Giovenale, che visse tra il 50 e il 140 dopo Cristo, con la quale descriveva ironicamente le aspirazioni della plebe romana, panem – il pane – e circenses – gli spettacoli dei gladiatori, l’intrattenimento. L’espressione viene usata sia per indicare le basse ambizioni di un popolo, che un certo modo di governare basato sull’elargizione di benefici per ingraziarsi la popolazione.
Parliamo ancora con parole antiche, insomma; e ci chiamiamo ancora con nomi antichi. E io credo, se ci penso, che sia una fortuna questo fatto. Che le parole vengano da lontano, che siano radici profonde e vitali, che non abbiano nulla a che fare con le cicogne. Le quali sono bellissime, intendiamoci, ma hanno forse volo troppo breve rispetto a quello che vorremmo avere noi. Nel tempo, nel passato, nel passato remoto.