La terapia anticoagulante nell’insufficienza renale lieve-moderata e nell’epatopatia: la scelta del farmaco e della dose.
31 Maggio 2014
I ritagli di maggio
31 Maggio 2014

La tromboaspirazione manuale nell’angioplastica primaria

La tromboaspirazione manuale nell’angioplastica primaria ovvero: who still likes the taste of tapas?

Luigi La Vecchia UOC Cardiologia – Ospedale San Bortolo, Vicenza

  • “PTCA does not induce distal embolization” (A. Gruentzig – 1977)
  • “Visible debris are removed in 73% of patients.” (G.Stone – EMERALD Trial – 2005)

L’argomento di questo breve articolo è il ruolo della Tromboaspirazione Manuale (T.M.)
nell’Angioplastica Primaria (pPCI), alla luce dei dati più recenti dello studio TASTE (1).
Non verranno esaminati i dati relativi a metodiche alternative di frammentazione /
rimozione del trombo, ne’ verrà considerata la potenziale differenza di performance fra
diversi device per T.M., ma si darà come assunto “a priori” un effetto di classe, peraltro
non dimostrato.
E’ opportuno tentare di fornire una risposta ai seguenti 3 quesiti: la T.M. è
fisiopatologicamente plausibile? È tecnicamente fattibile e sicura? Quali sono le possibili
chiavi di interpretazione di risultati discordanti in letteratura?
La tromboaspirazione è fisiopatologicamente plausibile? Si. Il trombo è componente
essenziale dell’occlusione coronarica acuta che costituisce il substrato anatomico ed
angiografico dell’infarto miocardico con ST sopraslivellato (STEMI). È pertanto
intuitivo che l’approccio terapeutico consideri in prima istanza l’eliminazione della
componente trombotica, allo scopo di evitare o limitare quanto più possibile
l’embolizzazione di frammenti trombotici e il conseguente danno miocellulare derivante
dall’obliterazione del circolo periferico (2, 3). La T.M. costituisce solo uno dei possibili
metodi, insieme ad altri quali la trombectomia meccanica (4), la protezione distale (5),
l’utilizzo di stents dedicati con rivestimento microporoso (6), e in definitiva anche il
trattamento farmacologico locale o sistemico ad effetto “detrombotico” (7). Peraltro, la
trombosi coronarica è un fenomeno dinamico e la composizione del materiale varia in
funzione del tempo di ischemia (8), con il trombo fresco (<24 h) ricco di eritrociti,
piastrine e fibrina, e il trombo vecchio (>24 h) già con aree di neovascolarizzazione e
deposito connettivale. Restringendo la finestra temporale alle prime ore dall’insorgenza
dello STEMI, la microscopia elettronica ha consentito di identificare una diminuzione
tempo-dipendente della quota piastrinica ed un corrispondente incremento tempodipendente
della componente fibrinica (9). La relazione esistente tra efficacia / beneficio
della T.M. e costituzione del trombo è peraltro incerta.
La tromboaspirazione è tecnicamente fattibile e sicura? Sì. E’ possibile estrarre
manualmente materiale trombotico fresco dal lume coronarico mediante un catetere con
lume interno sufficientemente ampio in modo tecnicamente semplice, estensibile ad una
larga quota di pazienti, dai costi contenuti e con una bassa incidenza di eventi avversi. I
limiti principali della T.M. dal punto di vista puramente tecnico sono: la difficoltà
 “PTCA does not induce distal embolization” (A. Gruentzig – 1977)
 “Visible debris are removed in 73% of patients.” (G.Stone – EMERALD Trial – 2005)2
anatomica nel raggiungere siti distali o con tortuosità prossimale; il profilo inadeguato
per superare stenosi serrate, che richiede quindi una pre-dilatazione; la limitata capacità
di adeguata apposizione alla parete ove si stratifica il trombo. La T.M. può provocare
spasmo o, più raramente, dissezione. Inoltre, l’ingombro del catetere ha generato a tutti
gli operatori, in fase iniziale, qualche embolia gassosa secondaria all’effetto di suction in
fase di rimozione del device (bolle di cavitazione), quando impiegato con cateteri guida
6F. Inoltre, una recente meta-analisi suggerisce un possibile incremento di stroke, la cui
genesi non è del tutto chiara (10). E’ possibile che, se non si mantiene costanza di
aspirazione durante la rimozione, il materiale trombotico fermo all’estremo distale del
catetere, al momento del ritiro di quest’ultimo all’interno del catetere guida, si frammenti
ed embolizzi verso l’alto.
Peraltro, l’avanzamento stesso del device in prossimità dell’occlusione può generare
meccanicamente embolizzazione distale prima di essere efficace nell’azione di
aspirazione. Il profilo del tromboaspiratore manuale è maggiore rispetto a quello di un
pallone da angioplastica. E’ esperienza comune che, a parità di severità angiografica delle
lesioni, in alcune di queste il device non sia in grado di avanzare distalmente, risultando
quindi inefficace. In questo caso, comunque, l’informazione pratica per l’interventista
rimane, in quanto è verosimile che la lesione da trattare abbia una elevata componente di
placca che necessita di essere dilatata meccanicamente a fronte di una modesta
componente di trombo.
Come interpretare i dati contraddittori dei trials? I 2 trials fondamentali al riguardo sono
il TAPAS (11, 12), il primo trial che ha dimostrato un impatto della T.M. su end-points
clinici influenzando le linee guida, e il più recente TASTE (1) che viceversa sembra in
qualche modo sospendere il giudizio sull’efficacia della T.M.(Tabella 1).
Gli aspetti da considerare sono i seguenti:
a. Criteri di inclusione. I principali sono: limiti di tempo pre-coronarico: nel TAPAS
<12 h con mediana del tempo totale di ischemia a 190 min; nel TASTE < 24 h,
con mediana dell’intervallo sintomi-PCI a 180 min; quindi, a parità di mediana, il
TASTE ha un 50% di pazienti il cui accesso alla PCI è disperso fra 3 e 24 h, con
una significativa percentuale di “latecomers”; valutazione angiografica pre-PCI su
flusso TIMI basale e stima semiquantitativa dell’entità della trombosi
endoluminale. E’ ipotizzabile che a molte ore dall’esordio dell’ischemia la quota di
vaso materiale trombotico di consistenza soft che possa beneficiare di una
aspirazione manuale tout court. Allo stesso modo, l’assenza di qualsiasi preselezione
basata su criteri angiografici rischia di destinare alla tromboaspirazione
pazienti nei quali la componente trombotica della lesione è modesta e quindi il
beneficio atteso della sua rimozione proporzionalmente piccolo. Peraltro, la
sensibilità della angiografia nella identificazione della presenza del trombo e della
sua quantificazione rimane insoddisfacente. Classificando i pazienti in base al
Thrombus Grade mutuato dallo studio TIMI (7), gli autori del TASTE non hanno
riscontrato differenza di efficacia della T.M. nei gruppi a basso vs alto thrombus
burden (1). Non è chiaro se una procedura efficace dal punto di vista del recupero 3
di materiale trombotico si correli in qualche modo all’outcome. Alcuni autori
hanno riscontrato una correlazione fra thrombus burden (grado 4-5) e peggior
outcome (13). In una nostra osservazione sulla coorte dei pazienti del registro
ASAP basato sulla analisi quanti-qualitativa del materiale aspirato, abbiamo
rilevato che il sottogruppo di pazienti con maggiore quantità di materiale
recuperato aveva peggior outcome a 30 giorni (14). Il che suggerisce che il fatto di
estrarre molto materiale trombotico è semplicemente un marker di un elevato
thombus burden. Ciò correla con la dimostrazione di una sostanziale quantità di
trombo residuo nel vaso evidente alla Optical Coherence Tomography dopo T.M.
efficace (15).
b. Trattamento interventistico nel braccio di controllo. Un primo punto importante è la
differenza nella percentuale di direct stenting fra gruppo T.M. e gruppo di
controllo. Infatti, i pazienti indirizzati alla tromboaspirazione ricevono un
trattamento orientato a ridurre la componente trombotica della lesione prima
dello stenting, con un minimo ricorso al pallone da angioplastica (utilizzato solo
nei casi in cui il device per T.M. non supera la lesione) mentre i pazienti
randomizzati a PCI senza tromboaspirazione sono facilmente sottoposti ad un
maggior traumatismo del vaso secondario ad un utilizzo più o meno estensivo del
pallone. Nel braccio no T.M. dello studio TAPAS, il 96% dei pazienti riceveva
una dilatazione con pallone, pur essendovi solo il 59% di flusso 0-1 e ben il 24%
di TIMI 3 pre-PCI, il che depone per un utilizzo routinario della predilatazione
con pallone, che contrasta con evidenze precedenti (16). Quindi, dal punto di vista
procedurale, il trattamento nel braccio di controllo del TAPAS amplifica il
beneficio della TM in quanto include un uso sistematico della predilatazione con
pallone, anche in pazienti con vaso pervio. Un secondo aspetto da considerare è la
lunghezza del segmento stentato che differisce marcatamente nel TAPAS rispetto
al TASTE (18 mm vs 28 mm). La T.M. quando efficace dovrebbe consentire una
miglior valutazione della lunghezza della lesione e quindi un utilizzo di stents più
corti. Una lunghezza media di 28 mm è superiore a quanto normalmente
osservato nella pratica clinica.
c. Trattamento antitrombotico concomitante. Rimuovere il trombo è bene, rimuovere o
interrompere anche i processi infiammatori e pro-trombotici che lo hanno
generato è ancora meglio. Su questo principio si basa l’interpretazione dei risultati
dell’ INFUSE-AMI (17) che documenta un beneficio di abciximab
intracoronarico ma non della T.M. isolatamente. Nello studio TAPAS il
trattamento antitrombotico periprocedurale include un uso quasi sistematico di
inibitori GP IIb/IIIa, mentre nel TASTE i ¾ dei pazienti ricevono bivalirudina e
solo una quota minoritaria gli inibitori GP IIb/IIIa. Questa differenza di utilizzo
può influenzare la pervietà del vaso all’angiografia.
d. End-points considerati. Gli studi di piccole dimensioni, concepiti come “proof of
concept” dell’efficacia della T.M. e strutturati su end-points surrogati, hanno
valutato principalmente gli indicatori di avvenuta riperfusione e/o funzionalità del
microcircolo e/o ridotta embolizzazione distale: Myocardial Blush Grade (MBG);
ST resolution, flusso TIMI post-PCI e corrected TIMI frame Count (cTFC) da 4
soli o in combinazione; il risultato è stato generalmente a favore della T.M. (18).
Nessuno di questi trials aveva il potere statistico sufficiente in termini di
numerosità del campione per rispondere a quesiti sulla mortalità. Manca invece il
nesso che lega la ridotta embolizzazione distale e l’efficienza del microcircolo ad
una riduzione significativa dell’infarct size. Studi basati su risonanza magnetica
non hanno documentato alcun vantaggio in termini di riduzione dell’infarct size
con l’utilizzo della T.M:, (17, 19), lo stesso dicasi per la stima mediante CK release
come risulta dal TAPAS. Non è chiaro pertanto quale sia la correlazione fra
embolizzazione distale ed infarct size, ed è possibile che il legame fra queste 2
variabili sia influenzato dal tempo alla riperfusione e/o dalla presenza di collaterali
(20). Uno studio giapponese di piccole dimensioni ha evidenziato un effetto
favorevole della T.M. sul remodeling ventricolare valutato all’angiografia (21).
Analoghi dati basati sull’ecocardiografia documentano una lieve riduzione dei
volumi ventricolari e un effetto favorevole sull’ecocontrasto nei pazienti trattati
con T.M.(22).
Per quanto riguarda la mortalità, una significativa riduzione legata alla T.M. è
dimostrata a 30 giorni nella meta-analisi di DeLuca (18) (1.7 vs 3.1%, p=0.04), che
include comunque un numero di pazienti (2417) che è meno della metà di quelli
inclusi del TASTE , ove la mortalità a 30 giorni è risultata 2.8% vs 3.0%; p=0.63
(1); a 6 mesi vi è una significativa riduzione di mortalità nella meta-analisi di Bavry
(10) (2.7 vs 4.4% ; p=0.018) e, a 1 anno, nel TAPAS (12) (3.6 vs 6.7%; p=0.02),
anche se la mortalità non costituiva un end-point prespecificato dello studio che
non era stato dimensionato per poter rispondere a questo quesito. Quindi a
questo punto appare ragionevole attendere la pubblicazione dei risultati del
TASTE a 1 anno prima di sbilanciarsi ulteriormente sulle conclusioni, nonché la
conclusione dello studio TOTAL (NCT01149044), attualmente in corso.
Sperando, ovviamente, che tali risultati siano univoci e concludenti, perché non
succeda, mutuando un aforisma di alcuni anni fa, che come thrombin begets thrombin
(23), anche trial begets trial.
Conclusioni. Come sempre in medicina esistono 2 posizioni conclusive che si
contrappongono.
Possibilista – ottimista: la T.M. è semplice da eseguire e non provoca danni; ha un costo
limitato e consente spesso di risolvere l’occlusione coronarica consentendo uno stenting
efficace; la rimozione di una quota di trombo migliora il risultato angiografico e spesso
anche la risoluzione del tratto ST. E’ difficile avere un impatto sulla mortalità a causa dei
risultati comunque molto buoni che si ottengono con trattamento convenzionale e
terapia antitrombotica aggressiva precoce. Di sicuro, i trials e le meta-analisi vanno nella
direzione di neutralità o di beneficio, ma mai in senso opposto. Inoltre, i dati
suggeriscono una riduzione del reinfarto. Continuerò ad utilizzare la T.M. nello STEMI,
anche se probabilmente un suo utilizzo estensivo non è giustificato.
Rigoroso – pessimista: la T.M. non ha dato alcuna prova di ridurre la mortalità nello STEMI
nell’unico trial con dimensioni sufficienti a raggiungere questa evidenza. Ciò
probabilmente è legato a limiti tecnici del device nel catturare realmente il trombo adeso 5
alla parete nonché a limiti della angiografia nell’identificare in modo sensibile entità ed
estensione della trombosi endoluminale. Tutto ciò è confermato dalla assenza di
dimostrazioni di riduzione dell’area infartuale con la T.M., cosa che invece si può
ottenere con mezzi farmacologici. Date queste premesse, ritengo che non vi sia
indicazione per l’ uso della T.M. Mi riservo di valutare in singoli casi con elevato
evidente carico trombotico l’utilizzo di strategie interventistiche alternative
individualizzate atte a ridurre l’impatto negativo di una embolizzazione distale.
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