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uscire dal mondo

Immagino che non dovrò far leggere ai miei studenti liceali l’articolo che sto per segnalare a voi, adulti e cardiologi. Lo immagino, anzi lo so: perché l’alcool è entrato da poco nelle loro vite giovani, l’alcool li ha presto sedotti, l’ubriachezza è uno degli argomenti di cui parlano più volentieri, oggetto di racconti epici e di picaresche vanterie, anche con me, anche se io sono assai riluttante a parlarne con loro e li faccio spesso tacere. E questo articolo (che parla di due libri) racconta un’ubriachezza per nulla molesta, anzi: la racconta come un’apertura, una possibilità di fuga (che non è nemmeno sempre un bene)(benché non le disprezzerei troppo, nel chiuso di casa mia, certe possibili fughe…), un allargamento dei confini che il sobrio quotidiano ci impone come sbarre di una gabbia che non si vede (ma che c’è, lo sapete, non fate finta: c’è).

 

«E non c’è niente che non passi e che non resti con il vino», scriveva diversi anni fa un uomo che a suo modo mi ha rovinato la vita (e non era Carducci, anche se avrebbe potuto esserlo…). Ed è questo che, se dovessi mai imbarcarmi in una discussione di questo tipo con giovani studenti di cui sopra, neppure maggiorenni, dovrei dire: che quello che passa è anche quello che resta, ogni volta, sappiatelo, tenetene conto, ci si risveglia.

 

E però, ora che siamo tra di noi, l’articolo è bello e i due libri che presenta paiono davvero interessanti, utilissimi a tracciare un possibile tratto del sentiero che ci ha condotto fin qui. E alcuni passaggi meritano una citazione:

 

L’alcol sembra l’approdo, e l’alcol era il manque che innervosiva. E tutto subito si colora di serenità, ogni cosa appare ancora sopportabile, ancora possibile; si concepiscono nuovi desideri, viene una rinnovata, magari strampalata, progettualità, una sostanziale voglia di continuare a vivere. Oppure, nella variante gaia, per così dire, il flash alcolico del cicchetto stabilizza e consolida un’idea comunque già ben strutturata che la vita sia pur sempre una bella cosa e che non basti fare altro che mantenerne il ritmo di serenità anche attraverso tutte le microhybris del rituale serotino che servono. Forse è proprio il nostro essere umani che induce una necessaria logorrea, che talvolta si fa insopportabile, per la sua pesantezza, e va in qualche modo fermata, almeno per un po’. C’è come bisogno di una sospensione, di una pausa da tutte le infinite narrazioni, dalle invettive, dalle prediche, dai lamenti, è in quel momento che occorre uno spritz di allentamento, di recupero di leggerezza.

 

Siamo nell’antropocene e mi sa che una delle cicatrici più vistose che l’uomo lascerà della sua permanenza sul pianeta sarà proprio questa sinistra attrazione per l’ubriachezza, e nessuno saprà mai veramente il perché. Forse era semplicemente perché la vita era bellissima e insopportabile.

 

Ecco, bellissima non lo so, non ho termini di paragone, non saprei esattamente descrivere nemmeno un’alternativa. Sul secondo aggettivo, invece, lascio a voi di pensarci e di valutare e di scegliere. Perché è esattamente questo l’argomento di cui non ho voglia di parlare con i miei giovani studenti. L’alcool viene dopo.

 

(E fa molto male al cuore, lo so: fate bene a ricordarcelo, gentilissimi cardiologi.)

Davide Profumo
Davide Profumo
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