l’invisibile
30 Agosto 2016le cose, lo spazio
5 Settembre 2016Non sono mai stato a Castellammare di Stabia, nemmeno una volta, nemmeno (credo) di passaggio. E però sono nato e ho vissuto in una città di porto e di mare, tanto tempo fa; e ho visto da ragazzino i cortei dei lavoratori del porto in sciopero lungo le strade della città, una volta; e mi ricordo la sirena che suonava la fine del turno, quando ero bambino e le finestre rimanevano aperte nelle sere d’estate, ed era la sirena che mandava a casa i lavoratori del porto della mia città. Sarà per quello, penso io, che ho sempre amato le città portuali, tutte, senza quasi distinzione, sarà per la mia infanzia; così come ho amato i film che le ritraggono, questa città, a volte soltanto di sbieco, a volte invece direttamente, senza trucco, a telecamera praticamente fissa sulle gru e sulle ancore e sulle carene delle navi.
Non sono mai stato, dicevo, a Castellammare di Stabia ma oggi ho letto un lungo articolo che parla di un libro che parla di questa cittadina della Campania e ho deciso che ci voglio andare, quanto prima. E che leggerò il libro. Che magari potrebbe interessare anche voi e che è appunto raccontato e presentato qui, così:
La città di Castellammare di Stabia è una terra di confine. È situata a Sud di Napoli e oggi fa parte a livello amministrativo della città metropolitana di Napoli. È allo stesso tempo situata in prossimità della penisola sorrentina, rispetto alla quale si colloca a Nord. Ha una lunghissima storia, che ha avuto una prima cesura drammatica nell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. A partire dalla seconda metà del Settecento divenne uno dei centri più importanti del Regno di Napoli, conservando un ruolo economico strategico durante il Regno delle due Sicilie e ancora per molto tempo anche nello Stato italiano, fino almeno agli anni settanta del Novecento.
Nel 1783 i Borboni ne fecero la sede dei cantieri navali e da quel momento la città ha legato la sua identità e il suo destino alla cantieristica navale e più in generale all’industria, presente nella zona anche con altri stabilimenti, come ad esempio la Cirio. […]
Gli operai, pur se appartenenti a generazioni diverse e con formazioni spesso anche lontane tra loro, sembrano condividere un approccio comune alla vita della fabbrica, un approccio che individua la fabbrica come un «continuum» storico che di generazione in generazione e di nave in nave conduce il lettore sempre a ritroso, a volte addirittura fino alla fine del Settecento.
Il libro nasce dalla crisi e dalla mobilitazione del 2011, quando di fronte all’ennesima, fatale, ristrutturazione, gli operai della città diedero vita a un ciclo molto duro di proteste. L’autore si recò più volte sul posto per documentare la protesta e le ragioni della mobilitazione ma l’impatto con la città-cantiere ha generato un tale fiume di incontri, di racconti,di domande che ha catturato la sua curiosità ed è nato un libro. Si tratta di un volume corposo, documentato e ben scritto, in cui capitolo dopo capitolo non viene tralasciato alcun dettaglio rispetto alle caratteristiche sociali, economiche e politiche della vita delle persone e dei luoghi legati al grande cantiere navale.
Insomma, mi pare che sia un libro interessante e assai diverso dal solito, questo non racconto di Andrea Bottalico che si intitola Il fuoco a mare. Ascesa e declino di una città-cantiere del Sud Italia; e che possa interessare anche voi. O magari potrebbe più semplicemente farvi venire voglia di guardare qualcuno dei bellissimi film che raccontano le città di porto e di mare, quelli che (già ve l’ho confessato) piacciono tanto a me. Ce n’è uno, per esempio, che si intitola Le nevi del Kilimangiaro e che, nonostante il titolo così esotico, è un ritratto meraviglioso di Marsiglia, del lavoro del porto e degli scontri tra operai giovani e meno giovani. E a un certo punto il protagonista pronuncia questa frase (credo siano parole Jaurés) che tante volte, nel corso degli anni recenti, mi sono trovato a mormorare silenziosamente, mentre non riuscivo a prendere sonno, sperando che davvero sia così:
«Il coraggio è comprendere la propria vita, è precisarla, approfondirla, fondarla, e coordinarla tuttavia alla vita generale».
Ma, ancora più bello, c’è un film spagnolo di una quindicina di anni fa, ambientato in un porto galiziano tra le rias di quella splendida e lontana regione. Si intitola I lunedì al sole e non mi stanco mai di riguardarlo quando cerco di pensare a un film sul lavoro che sia fatto bene. Oppure, se avete voglia di qualcosa di più leggero, c’è il porto di Amburgo raccontato nel film Soul Kitchen, che vi farà parecchio sorridere, mentre guardate quegli edifici straordinari usati per secoli per le merci che andavano e giungevano per mare. E ad Amburgo, invece, ve lo confesso, ci sono stato qualche anno fa; e quel quartiere è bello proprio come pare nel film…