vittime di altre vittime
22 Novembre 2020non leggere i classici
29 Novembre 2020[glossary_exclude][/glossary_exclude]«Dio ha creato l’universo – l’uomo l’ha nominato. E sono due universi distinti.»
Inizia così (ma non è vero: non inizia affatto così…) un breve estratto che ho letto oggi, un fulmineo passo tratto da un libro di Giorgio Caproni che avevo pure letto, chissà quanti anni fa, ma di cui non ricordavo praticamente nulla.
Non inizia così quindi, ma finge di farlo, come accade ai poeti, questo estratto. E poi racconta il modo in cui la poesia nasce, il modo in cui nomina e poi reinventa i suoi oggetti e infine se ne allontana, la strada che prende per scartare di lato rispetto alla realtà e diventare una realtà nuova, che ci parla, se siamo fortunati, che ci turba, quando siamo fortunati, che ci lascia muti in un turbine di incertezza, se siamo proprio fortunati. E arriva, questo breve ma splendido estratto che trovate qui, a scrivere queste parole, folgoranti:
… potrei anche dir così: che nel linguaggio poetico non soltanto le parole non sono più natura ma nemmeno, come nel linguaggio logico, concetti: sono unicamente polle d’emozione, cioè segni che non trasmettono nulla, se a questo si vogliono ridurre, che pur non «trasmettendo» propriamente nulla (nemmeno l’emozione provata dal poeta di fronte all’oggetto nominato) hanno tuttavia quest’infinito potere: di «generare» un’emozione sia pure tuttalpiù simile a quella del poeta e ogni volta diversa nei gradi e perfino nella qualità relativamente alla cultura, all’educazione, alla sensibilità di ciascuno che ascolta. E in questo, appunto, risiede la dignità del linguaggio poetico: in questa sua potenza non trasmette ma genera una realtà.
Difficile dirlo meglio, secondo me. Forse anzi è proprio impossibile raccontare meglio che cosa sia la poesia e di quale materia sia fatta: parole, emozioni, generazione di realtà. Per questo vorrei tacere, chiudere qui, mettere il punto e lasciarvi soli.
Ma c’è un’urgenza che mi preme il cuore, però; un’altra cosa che vorrei dire, che secondo me è la stessa che ha detto Caproni anche se su un tavolo diverso, a un livello diverso, con contorni e luoghi del tutto diversi. Vorrei dire che non solo le parole diventano polle di emozione, come ha scritto lui, ma anche i gesti, anche quelli più banali, come un calcio al pallone, due calci al pallone, un colpo di testa o (al limite) di mano. Lo vorrei dire perché ieri è morto Maradona, che di quei gesti assoluti, capaci di generare un’emozione (la stessa, in tutti noi, quasi la stessa, perché più semplice della parola e della poesia, assai più semplice, e però, non per questo, meno significativa) ecco, lui è stato davvero il principe, di quei gesti. Ma non so dirla bene questa cosa. E sono allora felice che l’abbia detta un napoletano doc come Gianni Montieri, poche settimane fa, quando a proposito del sessantesimo compleanno di Maradona, scrisse questo bellissimo articolo che trovate qui. E poi l’ha detta, a suo modo, con la chitarra in mano, anche Manu Chao, in un lontano film di Emir Kusturica, diversi anni fa, in una scena (questa) che mi è venuta subito in mente, ieri pomeriggio, quando ho avuto la notizia, ei fu: la scena è questa, se io fossi Maradona, la vita è una lotteria, la realtà (magari) non esiste nemmeno.