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poesia e cautela

«Tutta la letteratura nota è scritta nel linguaggio del senso comune. Eccetto Rimbaud.»

Ho letto che queste parole le ha dette Paul Valery; e ho subito pensato che erano perfette, precise, acute. Che dicevano il mistero dentro il quale si muove la figura del poeta adolescente «sempre in fuga» (quello che mi ha stregato quando ero ragazzino e in qualche modo ha per sempre deviato la mia strada …), il poeta «inafferrabile», il volto che ci parla di noi, di quello che siamo stati e abbiamo forse, chissà in quanti modi, tradito e rinnegato, ma nel profondo di noi stessi siamo ancora.

Ho letto la bella recensione che Davide Brullo ha scritto a proposito della nuova edizione italiana delle poesie di Arthur Rimbaud e ho pensato che potesse essere un bel consiglio per i libri che si regalano a Natale, ai figli, ai fratelli, alle sorelle, non lo so (a me regalarono le opere complete di Rimbaud in un lontanissimo giorno di Natale di tanti anni fa – era il 1981 –, l’edizione dei meridiani, quell’occhio biancazzurro adolescente che mi fissava dalla copertina; fu una vecchia zia professoressa di lettere, che si preoccupava per me, che mi disse «leggile con cautela», ma io non ho mai avuto cautela quando di tratta di poesia, la poesia è il contrario della cautela, quando la leggo io), e oggi ho pensato che era la recensione che cercavo (la trovate qui) del libro che cercavo:

Vedete, Rimbaud non è un poeta: è l’inafferrabile; è un ragazzo in fuga. Fugge da tutto, da tutti, dalla casa «miglior allievo della scuola», a dire del preside del collège di Charleville, scappa, la prima di molte volte, quindicenne: direzione Charleroi, a piedi, poi Parigi, in treno, segue arresto per vagabondaggio … [fugge] da se stesso («Immagino che la mia vita stia andando a rotoli»; «Mi annoio molto, sempre; anzi, non ho mai conosciuto nessuno che si annoi quanto me», scrive ai familiari, nell’allucinato epistolario africano, tra Il Cairo e Harar). Rimbaud, l’inafferrabile, le cui poesie sono fiaccole piantate nel gorgoglio del caos, norme per una esistenza capovolta, a redimere l’orrore in reame. Rimbaud ci sfida, con candida spavalderia e astuzia bianca: ciascuno trova specchiata, nella sua leggenda, la propria voglia, la propria colpa.

Ho quindi ritrovato tracce di quel mio candore quattordicenne, in questa recensione (sarà perché st interrogando sul cosiddetto «fanciullino» di Pascoli, in questi giorni, e non lo capisco, come ogni volta…), e ho pensato che potesse piacere un po’ a tutti, anche a voi che passate di qui. Ma se mi fossi sbagliato, se Rimbaud non fosse abbastanza o se più facilmente fosse troppo per una giornata come oggi, ecco, ho un paio di etimologie (curiosissime, elegantissime) che penso vi potranno divertire. Le propone Licia Corbolante sul suo blog «Terminologia etc.» e riguardano alcuni dei capi d’abbigliamento che l’inverno ci sta costringendo a indossare (a noi come a Matteo Salvini). Mi hanno divertito, divertiranno forse anche voi (le trovate qui). Anche quelli, i maglioncini, lo dobbiamo ammettere, sono ottimi regali di Natale, per il vostro confuso nipote quattordicenne, se ne avete uno. E avrete bisogno, probabilmente, di minor cautela.

Davide Profumo
Davide Profumo
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