Dove si spiega che medicina e filosofia non si possono separare
In questi ultimi anni si è verificata l’affermazione della Medicina Basata sull’Evidenza (Evidence Based Medicine). Una metodica che ha invaso, letteralmente parlando, la letteratura scientifica. Grazie ad un’attenta analisi dei risultati dei lavori sperimentali, condotta in modo rigidamente statistico, l’E.B.M. attribuisce una significatività o meno agli stessi. Le revisioni statistiche di migliaia di casi clinici hanno la caratteristica di possedere un rassicurante carattere di affidabilità. Presentano un’indubbia capacità di allentare l’angoscia o l’incertezza inespressa che è sempre presente nel giudizio clinico di un medico onesto e consapevole dei propri limiti. L’aumentare del numero dei soggetti indagati in una coorte sperimentale appare come una garanzia sicura di riproducibilità dell’evento ed alimenta una sicurezza basata sul fatto che ciò che fa bene a molti individui sarà utile per tutti o quasi i soggetti che dovessero in seguito ricorrere a quella terapia. La separazione nell’indagine epistemica che è avvenuta tra la medicina moderna e le altre scienze fisiche e naturali dopo il positivismo ha avuto, tra le altre cose, un abbandono da parte del medico di molte riflessioni sul senso e la significatività del proprio agire. Aver abbandonato la riflessione filosofica ritenendola non scientifica e l’essersi basati sui fatti, che dovevano essere assunti così com’erano, ha provocato un indubbio e rapido progresso della medicina. Le conquiste più importanti di cui oggi beneficiamo e che hanno allungato di decenni la vita media dell’uomo occidentale sono state ottenute attraverso una rigida applicazione della metodica sperimentale di tipo induttivo. Non ci si è chiesti dove avrebbe portato una visione così priva di qualsiasi dimensione epistemica della medicina, dove con questa parola desideriamo esprimere la necessità di non abbandonare il dubbio, l’eccessiva fiducia nel risultato di laboratorio o statistico a scapito della comprensione dell’universo olistico di ogni persona.
E’ giunto forse il momento di ripercorrere un cammino iniziato quando qualcuno, molto tempo fa, si accorse che il dolore e la morte potevano essere affrontati senza ricorrere alla magia come unica forma di rimedio e consolazione. In questa ricerca è necessario rinvenire dei segnali che possano indicare dove i percorsi della medicina e quelli della filosofia si siano intersecati con maggiore influenza reciproca. Rimane la necessità di riappropriarsi e di condividere con altri la consapevolezza di una maggiore dignità del processo conoscitivo in medicina, di illuminare certe regioni e ragioni del comprendere e dell’aiutare, magari con l’inadeguatezza e la tenue luce della ragione umana, come nel paragone della candela fornito dal medico e filosofo John Locke. Negli ultimi due secoli i rapporti tra filosofia e medicina sono divenuti confusi e intricati. La concretezza disperata e disperante dei nostri tempi, il rinchiudere ogni senso dell’esistenza nel recinto di una maggiore durata temporale della stessa, costi quel che costi e soprattutto per tutti (per tutti gli appartenenti al ricco mondo occidentale, naturalmente), non fa che ostacolare le indagini e le riflessioni sulla natura del sapere medico. I filosofi medievali sostenevano che l’uomo non fosse che un fragile viaggiatore, un viator che attraversava l’esistenza alla ricerca prima di ogni cosa di Dio. Lo avrebbe trovato cercando in sé stesso, utilizzando la propria vita e le proprie qualità per aiutare il prossimo. In tutto l’affannarsi verso una verità che ci sfugge sempre ogni volta che crediamo di averla raggiunta, esiste il legame che unisce il pensiero all’azione, che lega indissolubilmente la medicina alle ragioni dell’essere uomini, prima ancora che alla necessità della cura. La spiegazione dell’esistenza del dolore e della morte risiede in un’apparente contraddizione, che lega la grandezza della condizione umana alla propria fragilità ed alla sempre possibile miseria, in attesa magari di un riscatto. La solidarietà può essere un modesto e pur tuttavia irrinunciabile rimedio a questa condizione, la consapevolezza dell’unione indissolubile tra il curare ed il pensare, una serena ed onorevole modalità del vivere. Sarà sufficiente.
A cura di F. Perozziello