Parlare di libri è espressione che pare molto precisa, chiarissima nella sua evidenza, finanche indiscutibile, ma è in realtà molto generica, quasi vaga, probabilmente sempre inesatta («Parliamo un po’ di libri… Ti va di scrivere qualcosa sui libri?… Perché non apri un blog sui libri?»), perché un libro non è un libro non è mai soltanto un libro, e ci sono i libri di Fabio Volo e i libri di Marcel Proust, non so se mi sono spiegato, perché non si parla mai davvero di libri e mai soltanto di libri, nemmeno volendo…
È anche per questo che mi è piaciuto leggere il torrenziale articolo di Francesco Cataluccio, a proposito del mondo editoriale, che è comparso stamattina sul sito «Le parole e le cose» (lo trovate qui, è lungo, a tratti potrà parervi un po’ scombinato, ma racconta tante cose del mondo dei libri che forse non sospettate… E «parla di libri», anche se quando i libri siano soltanto «prodotti»). Perché mette i libri davanti al nostro sguardo secondo prospettive inedite, a volte crudeli, ma sempre utili. Come quando racconta il sistema con cui scegliere o scartare i libri che arrivano a un editore:
l giovedì, nel primo pomeriggio, passava davanti alla mia stanzetta un’anziana signora claudicante che andava a rinchiudersi nel salone in fondo al corridoio. Anche lei fumava come un turco e, quando apriva la porta, uscivano nubi biancastre come se là dentro si bruciassero delle carte. In effetti, in quello stanzone, venivano ammucchiate le decine di dattiloscritti che arrivavano quotidianamente in Casa Editrice. E molti sospettavano che, periodicamente, venissero là organizzati degli accidentali, quanto provvidenziali, roghi. Siccome (ero agli inizi!) uscivo tra gli ultimi, lei mi lasciava un foglietto per il Direttore dove scriveva i giudizi su una ventina di inediti che aveva letto. La cosa mi incuriosiva assai. Così, una volta, approfittando del fatto che era venuta a chiedermi se per caso avessi una sigaretta, le domandai sfacciatamente quale fosse il suo “metodo” e se davvero leggesse tutti quegli scritti in un pomeriggio. La risposta fu affermativa, ma subito corretta dal disvelamento di un segreto: la signora leggeva le prime due pagine e le ultime due del dattiloscritto e poi operava una sorta di carotaggio su un altro paio di punti scelti a caso. Secondo lei era un sistema scientifico: nessun libro che faccia schifo nell’attacco e nella conclusione, e in qualche pagina aperta a caso, meriterebbe di essere pubblicato.
Insomma, avete ben intuito: ci trovate aneddoti e osservazioni acute e importanti, in questo bell’articolo di Cataluccio. Osservazioni che riguardano i libri, ma anche gli editori, gli scrittori, i librai e le librerie, le redazioni e i manoscritti che quotidianamente vi arrivano e tutto il mondo che, bene o male, sta dietro al libro per come lo conosciamo noi, oggetto fatto di una copertina e di tante pagine e di molti caratteri alfabetici, in cui speriamo di trovare le parole che ci aiutino a capire (o almeno, per quanto è possibile, a intuire qualcosa). Sarà una lettura gustosa e piacevole, e forse vi farà passare, per qualche minuto soltanto, la voglia di parlare di libri… Ma poi, ve lo assicuro, ve la farà anche tornare.
E quando l’avrete ritrovata, la voglia che sempre abbiamo di parlare dei libri che amiamo o che detestiamo, ecco, c’è un altro bel libro che è uscito in queste settimane e che potrebbe interessarvi: è una raccolta di racconti italiani del Novecento che è stata approntata da Jhumpa Lahiri (brava, acuta, di origine bengalese ma di cultura e lingua inglese) per il pubblico nordamericano e che racconta la nostra letteratura, i nostri scrittori, i nostri bei libri dalla prospettiva di una «straniera» e per un pubblico «straniero», a cui certi nomi (Gadda, Pavese, Levi, Pirandello, Sciascia… e moltissimi altri) potrebbero anche non dire nulla. Ne trovate qui una bella presentazione, ricca e intelligente; come intelligente è sembrato a me il libro, nel suo complesso. E forse anche in questo caso potrà essere una scelta po’ sorprendente, uno sguardo nuovo sui libri di sempre, un tentativo di parlare di libri senza ripeterci ancora le stesse parole.