altrove, lontano
8 Marzo 2020
corrispondenza
15 Marzo 2020

parlare d’amore

Parlare d’altro, cambiare argomento. Fare davvero come la letteratura ci insegna da tempo immemore, fare come quei ragazzi che uscirono dalla città, lontani dal contagio e dalle paure, e cominciarono a raccontarsi storie d’amore felici e infelici, storie di fortune miracolose, ma anche storie a tema libero e storie di battute salaci. Fare così.

Ma di cosa parlare se davvero è altro che vogliamo cercare? Di poesia d’amore, secondo me. Anche se si fa ridere: di poesia d’amore. E c’è un libro, uscito in questi mesi in Italia, che fa davvero al caso nostro, al caso di chi vuole parlare d’altro. Lo ha scritto Franco Arminio (della cui magnifica ed eccentrica voce letteraria già tante altre volte ci è capitato di dire…) questo libro e si intitola L’infinito senza farci caso (sottotitolo, appunto: Poesie d’amore).

Mi pare uno di quegli esili volumi che oggi compriamo senza troppa fiducia e di cui, invece, tra trent’anni diremo: Ti ricordi il giorno in cui ho comprato questo splendido irripetibile libro? Ti ricordi la prima volta che ne abbiamo insieme aperto le pagine? Ti ricordi tutti questi segni che ci abbiamo lasciato a matita, per evidenziare versi, per ricordarci parole, per non dimenticare? [A me succede con il volume sgualcito delle Canzonette mortali di Giovanni Raboni, che comprai trent’anni fa, forse trentadue o addirittura trentaquattro anni fa, a una lettura pubblica di poesie a Milano. C’erano Zanzotto, Raboni e Del Giudice. A pensarci oggi una riunione da non crederci. C’erano poche decine di persone ad ascoltare la lettura dei loro versi, fu una serata bellissima. Io comprai quel libro (insieme a Fosfeni di Zanzotto: e purtroppo nient’altro, perché ero studente squattrinato). Lo guardo ancora oggi con una specie di venerazione, è una memoria più che un libro, contiene poesie d’amore bellissime, che ho letto e recitato a me stesso per anni, senza mai dimenticarmi di loro e dei miei amori, contiene segni e sottolineature, contiene versi che recito mentalmente come se fossero i miei, come se fossero parole mie, perché nel frattempo, lo so, sono diventate proprio parole mie, le mie parole d’amore]

Le poesie d’amore di Franco Arminio sono belle e originali. Una dice così:

Vieni giù nelle mie vene,
trovami
e fammi uscire
verso qualcosa
che non so.

Un’altra (abbastanza adatta alla quarantena che stiamo vivendo) invece così:

Abbiamo bisogno
di un luogo: ci vuole
una mano,
una casa, un sorriso,
qualcosa che ci faccia
da perimetro.
L’animale senza luogo
si ammala,
ama senza amare,
soffre senza soffrire.
Amare è costruire un luogo,
cioè un pezzo di mondo
con un dio dentro.

Una terza dice questo:

Il sesso non frequenta i quartieri a luci rosse,
è una cosa in cui s’inciampa
anche se abbiamo la sciarpa e il cappotto.
Non c’è bisogno di spogliarsi.
La festa è desiderare, è sgretolarsi,
fare entrare l’altro dagli occhi,
da un fianco, dal buco di una vocale.

E tutte, tutte insieme, una pausa dopo l’altra, una pagina dopo l’altra, dicono l’amore. E ancora, tutte insieme, dicono una cosa ancora più vitale e necessaria: che altro modo per cambiare argomento e parlare d’amore non c’è, anche se si fa ridere; che è la poesia d’amore l’unico modo che abbiamo per parlare d’amore e per far parlare l’amore.

Davide Profumo
Davide Profumo
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