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oblio e catastrofi

Quando Dante, all’inizio della salita tra le cornici del Purgatorio, che è anche una salita di sua purificazione personale e poetica, decide che è bene, fin da subito, parlare di arte e della superbia ad essa connessa e di tutti i pericoli insiti nell’essere un artista di successo (come lui già era, evidentemente), sceglie una forma d’arte che oggi non esiste più: la miniatura. E di conseguenza sceglie un miniaturista, Oderisi da Gubbio, di cui oggi non sappiamo più nulla, la cui memoria sarebbe totalmente cancellata dal mondo se non fosse che è un importante personaggio della Commedia di Dante, appunto.

[Ed è davvero significativo che Oderisi, un artista dimenticato, sia il protagonista del canto in cui Dante sostiene che il successo artistico vale nulla e che tutti, prima o poi, nella nostra dimensione terrena, verremo dimenticati.]

Ho pensato a questo passaggio che da sempre amo molto oggi, leggendo un bel profilo di Altan, il fumettista che ho probabilmente letto e apprezzato di più in questi anni: ho pensato che oggi non esiste più la miniatura, ma esistono le vignette satiriche, e che forse la parentela non è del tutto arbitraria. Per questo oggi vi invito alla lettura di questo rapido ritratto di Altan (oltre che per una vignetta sugli scienziati che ci trovate all’interno, che non è niente male e che forse vi farà sorridere…): perché vi si legge, tra le righe, anche il profilo di un intellettuale, di un uomo che con i suoi disegni e le sue parole non di rado affilate ha saputo leggere il mondo e in quel mondo ci ha fatto riconoscere un po’ di noi stessi.

Ecco qui per esempio:

Le vignette di Altan sono una testimonianza, una descrizione rappresentativa dell’Italia contemporanea. Nei suoi personaggi si ritrovano le persone comuni, il prototipo dell’omuncolo che quotidianamente affronta il proprio supplizio quotidiano, marcato nelle sue false e vacillanti certezze, influenzato dai media e al contempo artefice inconsapevole del destino del Paese in cui vive. Il suo è un invito a cercare di comprendere a fondo il ruolo che abbiamo in quanto individui nella modernità: Esattamente come nei suoi disegni, non esistono differenze tra il politico e l’impiegato. Nelle vignette di Altan, prima o poi, dovremmo rispecchiarci tutti.

*   *   *

Ma può anche essere, non lo escludo, che abbiate desiderio oggi di qualcosa di più impegnativo, almeno dal punto di vista letterario. Non vi deluderò.

Perché c’è davvero da passare la domenica, oggi, sopra un capitolo di un libro che parla di due gigantesche figure intellettuali del secolo scorso, probabilmente entrambe non ancora del tutto comprese, sicuramente entrambe in grado di dirci molto del futuro che stiamo, goffamente, per affrontare. Così magari, domani mattina che è lunedì e le librerie sono tutte aperte, potremmo anche entrare in libreria a comprarci tutto il libro, questo.

I due protagonisti di libro e capitolo sono Andrea Zanzotto e Pier Paolo Pasolini: sicuramente letti e studiati come poeti e intellettuali, ma soprattutto guardati nel loro particolare rapporto con il paesaggio e la campagna, la Natura, nella loro intuizione della catastrofe paesaggistica e antropologica che stava per piovere su di noi, nella loro implicita previsione di quella possibile apocalisse ecologica di cui non possiamo più, da qualche anno, evitare di parlare (pandemia compresa).

È un capitolo (questo, tratto dal libro di Alberto Russo Previtali) di rara erudizione e intelligenza, che ci presenta frontalmente Zanzotto e in controluce Pasolini, che li racconta entrambi alle prese con mutamenti di cui era difficile prevedere gli esiti, ma che li investivano nella loro vita presente e nella loro scrittura. È da leggere tutto, ma soprattutto è da leggere, visto che siete medici, cioè uomini di scienza, nel suo paragrafo finale, quello che mette a contatto scienza e poesia, radici di un sapere umano più completo e forte, capace di cogliere i mutamenti e i pericoli. Il paragrafo è questo, buona lettura, buona domenica, buon Antropocene a tutti:

Pur rimanendo su posizioni critiche, Zanzotto non ha comunque mai smesso di dialogare con il sapere scientifico. Nel richiamarne spesso le radici filosofiche, così come il fatto che, per gli antichi greci, «Apollo presiede sostanzialmente alla medicina come alla poesia», il poeta vuole affermare la necessità di credere nella scienza, poiché in essa è conservata la speranza in una «“terapia” totale». Ora, per Zanzotto, credere nella scienza significa provare a riportarla in contatto con il rovescio di una verità da servire: il trauma, la faglia insanabile, «il mancamento che ansima su una china» da cui cresce la poesia. Significa provare a riportarla all’umiltà, all’assunzione della pochezza, dell’impurezza che sono proprie del soggetto gettato nel mondo e dei suoi referenti.

Davide Profumo
Davide Profumo
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