Pretrattamento con clopidogrel nella angioplastica primaria: revisione critica della letteratura
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26 Febbraio 2009Nuove strategie ipolipidemizzanti: la modulazione della triade lipidica
Prof. Alberto Corsini
Università degli Studi di Milano
Premessa
Evidenze che un intervento mirato ad abbassare il colesterolo LDL sortisca una importante riduzione degli eventi cardiovascolari (CVD) sia in termini di morbilità sia in termini di mortalità è ben consolidato (1). Numerosi studi clinici hanno documentato come il trattamento con statine possa determinare riduzioni significative di questo colesterolo LDL fino ad un 50% dei suoi valori, a cui si associa una riduzione degli eventi cardiovascolari del 40-45% (1,2). Lo studio JUPITER, recentemente pubblicato (3), ha evidenziato come il raggiungimento di livelli di colesterolo LDL intorno ai 50 mg/dl nei pazienti con rischio cardiovascolare moderato e caratterizzati da livelli normali di colesterolo LDL ma da elevati livelli di proteina C reattiva, sia associato ad una riduzione significativa degli eventi CVD. E’ importante ricordare che tutti gli studi di intervento condotti a tutt’oggi con statine, compreso lo studio Jupiter, hanno alla base della riduzione degli eventi clinici esclusivamente la riduzione del colesterolo LDL. Ne consegue che abbassare il colesterolo LDL in modo importante e significativo si associ effettivamente ad una riduzione del rischio cardiovascolare.
Tuttavia, nonostante queste riduzioni così significative del colesterolo LDL la maggior parte dei pazienti (> 55%) la cosiddetta “unforbidden majority” (maggioranza silenziosa) risulta ancora a rischio di un evento cardiovascolare (4). Ne consegue che altre strategie mirate non solo a controllare il colesterolo LDL ma anche a modificare altri parametri lipidici quali bassi livelli di HDL o elevati livelli di trigliceridi (TG) siano potenzialmente un approccio terapeutico che consenta di ridurre ulteriormente il rischio cardiovascolare. Attualmente, le premesse a questo intervento terapeutico sono basate sia su evidenze epidemiologiche sia fisiopatologiche.
Considerazioni Epidemiologiche e Fisiopatologiche sulla triade lipidica
Le evidenze epidemiologiche a supporto del ruolo delle HDL e dei TG sono ben documentate dalle Figura 1 e 2 che mostrano come bassi livelli di HDL ed elevati livelli di TG siano effettivamente associati ad un aumentato rischio CVD (5,6). In particolare, le analisi multivariate hanno evidenziato come le HDL siano un fattore di rischio primario indipendente dalla presenza di altri fattori di rischio quali livelli elevati di LDL (Figura 1) mentre i TG sono un fattore secondario che amplifica il rischio causato da altri fattori (Figura 2).
Uno studio retrospettivo inglese ha documentato in 2000 pazienti, trattati con statine e che hanno manifestato un evento cerebrocardiovascolare, che il 67% aveva un colesterolo LDL sotto i 100 mg/dl e, tra questi pazienti, il 40% era caratterizzato da bassi livelli di HDL ed elevati livelli di TG (7)
Le evidenze fisiopatologiche sul ruolo delle HDL e dei TG sono documentate da forme genetiche di dislipidemia caratterizzate da bassi livelli di HDL, le ipoalfalipoproteinemie, e/o elevati livelli di TG, quale la iperlipidemia familiare combinata, che sono associate ad un aumentato rischio CVD e dal ruolo protettivo delle HDL sia nel rimuovere il colesterolo dalle placche aterosclerotiche sia nella sua azione antinfiammatoria (1,8). Una serie di studi sia sperimentali sia clinici hanno dimostrato la capacità delle HDL e della sua componente proteica apo A-I di manifestare un’azione anti-aterosclerotica diretta grazie alle sue proprietà “pleiotropiche”(8). Gli effetti sul trasporto inverso del colesterolo, sulla migliorata funzionalità endoteliale, sull’inibizione dell’infiltrazione di monociti nel vaso associati agli effetti anti-ossidanti ne sottolineano un ruolo ateroprotettivo rilevante. Ad esempio di queste evidenze va ricordato lo studio condotto con la apoproteina AI Milano che ha dimostrato come l’infusione di questa apoproteina, associata a fosfolipidi, determini un azione di prevenzione nella progressione delle placche aterosclerotiche coronariche (9). Questi dati confermano chiaramente la necessità di un intervento strategico che vada non solo a controllare le LDL ma che eserciti un beneficio globale sul profilo lipidico aterogenico ( triade lipidica ) caratterizzato da elevati livelli di TG, bassi livelli di HDL e apparentemente normali livelli di LDL ma con un fenotipo caratterizzato dalla presenza di una componente chiamata LDL piccole dense particolarmente aterogene. Questo profilo lipidico, è presente in diverse tipologie di pazienti a rischio cardiovascolare quali pazienti diabetici di tipo II, pazienti con sindrome metabolica, donne in post-menopausa, pazienti nefropatici, nelle forme miste di dislipidemie, a supportare come un intervento che possa sortire un miglioramento globale del profilo lipidico, almeno sulla base di queste premesse, possa risultare di particolare importanza.
La farmacologia della triade lipidica
Le strategie farmacologiche mirate ad aumentare i livelli di HDL e ridurre i livelli di TG disponibili in terapia sono elencate in Tabella.
A questo riguardo è importante ricordare essenzialmente un principio attivo, l’acido nicotinico o niacina, molecola ben nota ai lipidologi in quanto disponibile in terapia da oltre 50 anni (12). La molecola ha delle caratteristiche molto particolari in quanto la sua azione sul metabolismo lipidico si esercita a diversi livelli. In particolare, può determinare un effetto di inibizione sul rilascio di acidi grassi a livello del tessuto adiposo che ha come conseguenze una ridotta capacità del fegato di produrre nuovi trigliceridi. La molecola è inoltre in grado di ridurre la sintesi di apoproteina B100 a livello epatico e quindi inibire la formazione di VLDL. E’ in grado di modificare la densità delle LDL riducendo fortemente la componente densa e piccola e di ridurre l’escrezione e il catabolismo dell’apoproteina I determinando un mantenimento e un aumento di livelli di colesterolo HDL ed infine attiva nei sistemi quali la proteina trasportatore ABCA1 coinvolta nel trasporto inverso dei lipidi (12,13). Recentemente si è dimostrato come molte delle azioni esercitate dall’acido nicotinico siano mediate dall’interazione con recettori specifici presenti in diversi distretti dell’organismo (12,13). Queste proprietà farmacologiche permettono all’acido nicotinico di manifestare un profilo lipidico particolarmente favorevole. In particolare, tra i vari agenti ipolipidemizzanti l’acido nicotinico è quello che manifesta la maggiore efficacia sul colesterolo HDL (> 30%) a cui si associa un’efficacia sia sulle LDL sia sui trigliceridi superiore al 20-30% (1,10,11). Queste caratteristiche sono sicuramente di assoluto vantaggio nel potenziale effetto ipolipidemizzante sul profilo lipidico globale.
Le evidenze cliniche di un effetto antiaterosclerotico dell’acido nicotinico sono documentate sia da ricerche che hanno studiato le placche aterosclerotiche a livello coronarico sia che hanno valutato l’ispessimento intima-media. Questi studi hanno evidenziato come il farmaco sia in monoterapia sia in associazione manifesti un effetto di stabilizzazione se non regressione delle placche ateromasiche. Tra gli studi di intervento merita di essere menzionato il Coronary Drug Project (CDP), pubblicato ormai più di vent’anni fa, che ha evidenziato come il farmaco sia in grado non solo di controllare l’evoluzione della placca ateromasica ma anche di ridurre gli eventi sia non fatali, 27% di riduzione degli infarti, sia le morti totali (14). Questi studi insieme ad altri magari con numerosità ridotta di pazienti hanno comunque evidenziato la potenzialità del farmaco di manifestare azioni antiaterosclerotiche di notevole impatto pratico e clinico.
Tuttavia nonostante queste premesse il farmaco ha una serie di effetti collaterali che hanno limitato fortemente il suo impiego. Il problema maggiore della molecola è l’arrossamento o vampate di calore (flushing) che si verifica a livello cutaneo limitandone fortemente l’utilizzo.
L’identificazione di un recettore in grado di riconoscere l’acido nicotinico e della sua presenza a livello cutaneo ha permesso di caratterizzare anche i meccanismi responsabili del flushing (13). In particolare, si è osservato che l’acido nicotinico interagendo con i recettori presenti sulle cellule di Langerhans a livello dell’epidermide, determina l’attivazione della fosfolipasi A2 (PLA2) che causa il rilascio di un potente vasodilatatore, la prostaglandina D2. Questa prostaglandina così rilasciata può interagire con recettori specifici presenti sui vasi sanguigni a livello dello strato del derma e determinare una importante vasodilatazione che è responsabile in ultima analisi dell’arrossamento osservato a livello cutaneo e della ridotta tollerabilità del farmaco(15).
Laropiprant è una molecola di recente sintesi chimica in grado di antagonizzare il legame tra la PGD2 e il recettore e di ridurre significativamente il fenomeno dell’arrossamento.
Una serie di studi di fase II e fase III ha chiaramente documentato come la somministrazione di acido nicotinico con laropiprant consente di ridurre sia gli arrossamenti severi che si osservano nel 33% dei pazienti in terapia con solo acido nicotinico rispetto al 14% dei pazienti nei quali è stato aggiunto il laropiprant, sia le forme di arrossamento moderate che risultano del 30% nei pazienti trattati con la combinazione acido nicotinico/laropiprant rispetto al 56% dei pazienti in terapia con solo acido nicotinico. L’associazione precostituita di acido nicotinico/laropripant riduce in modo significativo i problemi della tollerabilità del nicotinico senza modificare gli effetti ipolipidemizzante del farmaco (16).
Inoltre l’acido nicotinico ha effetti collaterali a livello metabolico quali una induzione dell’insulino-resistenza e un aumento dei livelli di acido urico che possono precipitare o peggiorare un profilo glucidico modestamente alterato, portando molte volte un paziente da una condizione di pre-diabete a diabete conclamato, o scatenare un attacco gottoso.
A conferma dell’interesse e della rilevanza di questa combinazione, è uno studio clinico chiamato HPS2-THRIVE (Treatment of HDL to Reduce the Incidence of Vascular Events), tuttora in corso, che prevede l’arruolamento di circa 25000 pazienti post-infartuati, ad aumentato rischio cardiovascolare, con patologie cerebro- cardiovascolari, o diabetici, con l’obiettivo di valutare come la terapia con acido nicotinico/laropiprant ad un dosaggio di 2 g/40 mg al giorno aggiunto a una terapia standard ipolipidemizzante caratterizzata da una combinazione simvastatina +/- ezetimibe possa ridurre in modo significativo gli eventi cardiovascolari. Lo studio è attualmente in corso (12).
Va comunque ricordato che, a tutt’oggi, non ci sono evidenze cliniche consolidate che documentino che aumentare i livelli plasmatici di HDL e/o ridurre i TG si associ ad un ridotto rischio vascolare. Gli studi condotti con fibrati, farmaci che riducono TG ed aumentano HDL, sono suggestivi di un beneficio clinico ma i risultati degli studi non sono consistenti e lasciano aperta la domanda sull’effettivo valore di questa strategia ipolipidemizzante.
Riassumendo possiamo sottolineare che le statine rimangono la terapia ipolipidemizzante d’elezione per quanto riguarda il controllo del rischio cardiovascolare, ma che farmaci ipolipidemizzanti attivi sulle LDL come ezetimibe, e farmaci in grado di modificare il profilo lipidico globale quale l’acido nicotinico, sia in monoterapia sia in associazione con statine, rappresentano un strategia terapeutica potenzialmente ottimale per il controllo del profilo lipidico globale. L’associazione acido nicotinico/laropiprant potrebbe essere un potenziale trattamento ulteriormente cvantaggioso per i pazienti a rischio cardiovascolare elevato da associarsi alle ben nota e consolidata terapie ipolipidemizzante con statine.