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17 Aprile 2019fingersi un medico
1 Maggio 2019La prima confessione (o sarebbe meglio dire confidenza, visto che io non sono pentito e voi non siete né sacerdoti né tribunali) è che di sei scrittrici di cui oggi vi invito a leggere le risposte a una domanda ben precisa (perché si scrive?), io conosco solo i libri della prima e conoscevo appena il nome della seconda della quarta e della quinta. Di due di loro, insomma, non sapevo nulla: e adesso conosco soltanto il nome (ma la prima, insomma, della prima scrittrice che conosco bene ho già parlato e posso senza esitazione consigliarvene la lettura: merita, merita davvero).
La seconda confidenza (ma sarebbe meglio dire confessione in questo caso, visto che si tratta del mio mestiere, che è ovviamente sempre sotto il giudizio di qualcuno, anche il vostro; come i mestieri di tutti, naturalmente) è che da molti anni mi rifiuto di obbligare gli studenti liceali a leggere qualcosa, qualsiasi cosa che abbia deciso io, fossero pure i classici della letteratura europea: li invito, cerco di invogliarli, li sprono, provo a esortarli, questo sì; ma da tanto tempo non obbligo più nessuno. Per stanchezza, perché non so come fare, perché fingono, perché copiano le relazioni da internet, perché mi pare davvero inutilissimo.
E oggi, mentre perlustravo il web leggendo articoli di troppo vario genere, mi è venuto il sospetto di fare bene, di avere magari un po’ ragione. E mi è venuto il sospetto che la chiave possa essere, in questi anni di confusione e superficie, non tanto la lettura quanto la scrittura. Obbligare a scrivere, insomma; invitare e invogliare alla scrittura. E mi hanno aiutato le sei scrittrici di cui sopra, a pensarlo e a farmi nascere il desiderio (ehm) di scriverlo qui, questa mattina, di bloccare questo sospetto sui tasti della mia tastiera, di inchiodarlo allo schermo del mio computer. Di scriverlo insomma.
Leggete per esempio a splendida risposta di Olga Tokarczuk (e potete anche sorridere, nel frattempo, se vi va, sapendo che io nemmeno sapevo chi fosse, prima di stamattina; e che invece già oggi pomeriggio o domani proverò a leggere un suo libro, nella speranza di essermi perso qualcosa di bello, e di averlo quindi oggi ritrovato…), leggete la forza della sua definizione di scrittura:
Quando una cosa non è ancora stata descritta vive, scintilla, si muove, e invece una volta che sono state trovate le parole per descriverla non si muove più. In qualche maniera la lingua uccide il mondo.
Oppure, più distesamente ma con altrettanta incisività, leggete Annie Ernaux (che è così brava, di lei posso dirlo, potete smettere di sorridere di me, insomma), leggete la semplice bellezza della sua risposta:
La scrittura è innanzitutto per me un modo di esistere – quando non scrivo mi sento inutile, vuota – e anche di intervenire nel mondo portando alla luce ciò che mi colpisce ma che avrebbe potuto colpire chiunque. Sempre più, è anche una lotta contro l’oblio, quello della Storia, della nostra vita collettiva, in un’epoca che mi appare come quella della fugacità e delle emozioni senza memoria.
Ci sono quindi sei risposte femminili alla domanda «Perché si scrive», in questo articolo che sto citando stamattina; sono tutte belle risposte e ci fanno venire voglia di conoscere meglio le scrittrici le hanno date e ci fanno venire il sospetto che dovremmo prenderci una mezzora, tutti i giorni, per scrivere di noi, in silenzio, da soli, per raccontare quello che ci accade, a noi stessi, caro diario. Dicono che la scrittura è assai di più che un’abitudine o un lavoro o anche solo un’ispirazione. Dicono che è in qualche modo una disciplina, una preghiera, il tentativo di dare contorno ai sentimenti, di costruire una grammatica del dolore e della bellezza. Mi pare tantissimo.
E mi pare bellissimo che ci sia anche uno spettacolo teatrale, in giro per lì’Italia, che dice più o meno la medesima cosa (e anche di quello, terza confessione e terza confidenza, io non sapevo niente). Lo trovate presentato qui, in un articolo che si intitola non a caso «Scrivere cambia la vita» (che è un’altra, inappellabile, risposta alla domanda di cui sopra) dentro al quale articolo trovate anche le parole dell’autore della pièce, Armando Pirozzi, che mi paiono perfette per chiudere il post di oggi, e che sono queste:
Il tema centrale è la scrittura e la sua possibilità di incidere direttamente sulla realtà: la forza miracolosa della poesia, non come semplice esercizio di tecnica letteraria ma per la dirompente carica vitale che suscita, nonostante tutto, nelle persone.
2 Comments
Leggendo quello che scrive, mi è venuta questa idea in mente in cui magari la lingua (facendo riferimento alle parole di Olga Tokarczuk) può essere paragonata alla mano che Recide il fiore, il quale viene poi portato a casa e ci appare più accessibile, come i pensieri, poi però inesorabilmente smette di vivere. Perde la sua bellezza ed è così che ricerchiamo sempre altri fiori da recidere quando quelli a cui abbiamo tolto la vita sono appassiti., e solo ai fiori (quindi pensieri) più belli viene a volte concesso di essere conservati dentro le pagine di un libro, per poi magari essere riscoperti seppur ormai essiccati.
Grazie del suo bel pensiero. Speriamo che la scrittura sia un fiore capace di rinascere, come se fosse innaffiato dall’atto del leggere. E ciò renderebbe noi lettori partecipi e protagonisti della bellezza dell’atto creativo.